All’esito di una complessa attività investigativa svolta dal Comando Provinciale della
Guardia di Finanza di Parma, la Procura di Parma ha disposto un avviso di conclusione di
indagini preliminari e contestuale informazione di garanzia a carco di un soggetto residente
nella provincia di Parma, ipotizzando a suo carico il reato di abusivismo finanziario (art. 166
Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria – D.lgs. n. 58/1998),
in relazione alla compravendita di criptovalute, in particolare bitcoin.
Nel corso delle indagini, avviate nell’anno 2021, i finanzieri del Gruppo Parma hanno anche
dato esecuzione a un decreto di sequestro preventivo – disposto dal GIP del Tribunale di
Parma a richiesta della Procura – del sito internet adoperato per lo svolgimento dell’attività
di intermediazione finanziaria.
Invero, le norme vigenti prevedono l’obbligo di autorizzazione rilasciata dalle Autorità
preposte per poter svolgere l’intermediazione finanziaria e proporre la compravendita di
criptovalute come strumento di investimento.
Secondo l’ipotesi investigativa, l’indagato avrebbe promosso, attraverso un proprio sito web, la compravendita di criptovalute presso potenziali investitori i quali, al fine di acquistare le valute virtuali desiderate, ricaricavano – in contanti, presso uffici postali o esercizi convenzionati – molteplici carte prepagate nella disponibilità diretta o indiretta del medesimo indagato.
La disponibilità di numerose carte ricaricabili, intestate a persone legate da rapporti di
conoscenza con l’indagato, avrebbe permesso di aggirare il limite massimo annuo di
accredito su una singola carta ricaricabile pari a € 100.000.
Una volta ricevute le somme di denaro dagli investitori e dopo aver trattenuto una
commissione, variabile tra il 5% ed il 10%, l’indagato avrebbe acquistato i bitcoin presso
piattaforme autorizzate di trading on line per renderli disponibili successivamente sui wallets (portafogli digitali) degli investitori.
A fronte di tale intermediazione, non sarebbe stato istituito alcun sistema di controllo
antiriciclaggio e, pertanto, sarebbero stati omessi gli adempimenti obbligatori consistenti
nell’identificazione e nella cosiddetta adeguata verifica della clientela, nell’assunzione di
informazioni sulle operazioni finanziarie eseguite e sulla provenienza delle somme investite,
nonché nella segnalazione alla Banca d’Italia (UIF) delle operazioni sospette di riciclaggio.
L’assenza di qualsiasi presidio antiriciclaggio ha trovato obiettivo riscontro
nell’individuazione di soggetti deceduti tra le persone fisiche cui venivano attribuite le
ricariche in favore dell’intermediario e, dunque, gli investimenti.
La completa inosservanza delle disposizioni antiriciclaggio sopra citate avrebbe potuto
consentire a terzi investitori di impiegare risorse finanziarie in criptovalute rimanendo nel
totale anonimato, circostanza ideale per chi desidera investire i proventi da attività
delittuose.
I complessivi accertamenti, condotti anche mediante investigazioni bancarie, hanno
consentito di ricostruire, per il periodo dal 2017 al febbraio 2021, acquisti di criptovalute per conto di oltre 1600 investitori dislocati su tutto il territorio nazionale per circa € 1.900.000,00 nonché di quantificare in € 140.000,00 le commissioni percepite dall’indagato per l’illecita intermediazione, somma in relazione alla quale sono stati anche omessi i prescritti obblighi tributari.
All’esito delle attività di polizia giudiziaria, i finanzieri hanno anche approfondito gli aspetti
sanzionatori amministrativi, in materia antiriciclaggio e fiscale.
Sotto il primo profilo, sono state contestate sanzioni amministrative per violazione della
normativa antiriciclaggio a n. 18 esercizi convenzionati abilitati alla ricarica di carte
prepagate ubicati nelle province di Napoli, Milano, Roma e Cosenza, per mancata
identificazione dei clienti che avevano effettuato le ricariche in contante, nonché all’indagato principale per aver omesso tutti gli obblighi antiriciclaggio relativi ad operazioni per € 1.900.000 circa.
Nell’ambito fiscale, invece, sono stati constatati nei confronti di n. 4 persone fisiche ricavi
non dichiarati all’erario per € 170.000, derivanti in parte dall’attività di intermediazione
contestata.
La Guardia di Finanza intende sottolineare, in definitiva, i seguenti aspetti che
denotano la particolare rilevanza pubblica dei fatti:
1. in primo luogo, l’ammontare certamente rilevante dell’intermediazione abusiva posta
in essere nei confronti di migliaia di investitori sull’intero territorio nazionale, fatto in sé
obiettivamente grave;
2. in secondo luogo, gli illeciti contestati alterano l’integrità del mercato finanziario con il
rischio di danni anche per gli investitori e i loro risparmi, il cui corretto investimento è
tutelato da norme di garanzia;
3. in terzo luogo, l’intermediazione finanziaria svolta omettendo gli adempimenti
antiriciclaggio potrebbe rivelarsi appetibile per il reimpiego di denaro di provenienza
illecita finendo, in tal modo, per facilitare condotte di riciclaggio.