E’ certamente la più ampia e completa esposizione di quadri dedicata a quegli artisti italiani che tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 posero al centro della loro ricerca pittorica l’dea di “dipingere la luce”. L’iniziativa è stata presa dall’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia che, da oggi al prossimo 12 ottobre, ha allestito presso il Foro Boario di Modena (via Bono da Nonantola 1 – laterale via Berengario) la mostra “Naturalismo nella pittura italiana tra ‘800 e ‘900”, in cui si offre attraverso una nutrita selezione di opere dei maggiori pittori del periodo una lettura dei tanti fermenti culturali che in quegli anni andarono ad arricchire la vita e la scena artistica italiana, recuperandone il contributo originale arrecato allo sviluppo della pittura in Italia e restituendo ai suoi protagonisti quello spazio nel panorama pittorico che, ingiustamente, è stato loro sottratto dalle correnti artistiche che si sono sviluppate oltralpe.


“Si tratta – afferma il Rettore dell’Università degli studi di Modena e reggio Emilia prof. Gian Carlo Pellacani – di un evento che ritengo straordinario per la qualità delle opere esposte, raccolte grazie alla cortese disponibilità di tanti privati, oltre che della Provincia di Modena. Per me poi questa mostra ha un significato ancor più particolare: vuole essere un omaggio che come Rettore faccio alla mia città, come ultimo atto di nove anni di governo dell’Ateneo, e a cui tenevo tantissimo anche per offrire una dimostrazione del livello qualitativo che si può raggiungere quando un evento culturale è sostenuto direttamente, in prima persona, dall’Università, dall’entusiasmo e dalla solida preparazione di quelli che costituiscono il suo vero patrimonio, ovvero i suoi docenti, i suoi ricercatori ed i suoi studenti. Con questo evento si è raggiunto un risultato culturale davvero notevole, in rapporto ai modesti costi che si sono dovuti sostenere per il suo allestimento, e ciò in ragione della capacità e della forza che l’Ateneo ha nel saper aggiungere valore alle iniziative, nel saper ottimizzare l’uso delle risorse, risorse che di questi tempi per la cultura in verità sono molto scarse. Crediamo con questa mostra di aver indicato alla città, alle sue Istruzioni, una strada da percorre e sperimentare, candidando l’Ateneo a diventare partner e promotore dei programmi culturali che devono arricchire ed alimentare significativamente la vita di una città che aspira a recitare un ruolo significativo sia sulla scena nazionale, che europea ed internazionale e che, perciò, deve essere in grado di riconoscere a pieno il notevole contributo che può venire dalla sua più importante Istituzione culturale e scientifica”.

La mostra, che ha ottenuto il patrocinio del Ministero Beni e Attività Culturali, della Provincia e del Comune di Modena, oltre ad un particolare apprezzamento da parte del Capo dello Stato, è stata organizzata con il sostegno finanziario della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, della Fondazione Cassa di Risparmio di Carpi, di Confindustria di Modena e di qualificate imprese
del territorio che vi hanno concorso anche con servizi specializzati.

“A misura che le città si espandono e la campagna, lentamente ma assiduamente invasa o lavorata, perde del suo grandioso, perde del suo incanto selvaggio, l’uomo avrà un piacere sempre maggiore a ritrovar le tele in cui la natura è stata colta od espressa in qualche sua bellezza”. Da questa considerazione, che Marco Calderini scrisse sull’Appendice della Gazzetta Piemontese del 26 maggio 1879, ha tratto spunto la mostra, curata e ideata da Elena Corradini, docente di Museologia e Critica Artistica e del Restauro nell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia. Calderini che, oltre a essere critico, era apprezzato pittore di paesaggi, allievo del reggiano Antonio Fontanesi che per primo solo dieci anni prima, nel 1869, aveva avuto una cattedra di paesaggio per pochi mesi a Lucca poi a Torino, nell’occasione era intervenuto a sostegno di quella pittura che definiva “l’arte del tempo” e che, dopo un ventennio di accesi dibattiti, aveva finalmente trovato la propria consacrazione rispetto agli altri generi con una preponderante presenza all’Esposizione di belle Arti, organizzata a Torino in quello stesso anno.


Seguendo le riflessioni che il critico-artista faceva sul “paesaggio moderno incaricato di rendere, con delle linee e dei colori della natura all’aperto, certi sentimenti intimi dell’anima umana, un certo stato di commozione, di esaltazione, talvolta solitaria, pensosa” la mostra è stata articolata, appunto, attorno al tema fondamentale che molti artisti italiani posero al centro della propria ricerca pittorica a cavallo tra la metà dell’Ottocento e gli inizi del Novecento: “dipingere la luce”.

La mostra si suddivide in due sezioni: una dedicata alle raffigurazioni di paesaggi en plein air e una riservata alla campagna romana. Ciascuna sezione è suddivisa in quattro percorsi: un primo percorso dedicato al paesaggio naturale, spettacolare e scenografico; un secondo percorso è stato riservato a vedute di paesaggio, nelle quali l’intervento dell’uomo è visibile in particolare attraverso l’inserimento di edifici o di altre strutture architettoniche che acquistano il valore di testimonianza storico-culturale; un terzo percorso è stato riservato al paesaggio animato da personaggi variamente raffigurati in differenti ambientazioni all’aperto; in un quarto e ultimo percorso sono state raggruppate le raffigurazioni del lavoro dell’uomo esercitato a contatto con un mondo naturale da cui sembrava lontano il fenomeno dell’industrializzazione che si stava diffondendo in maniera sempre più vasta.

“I circa duecento dipinti esposti – commenta la curatrice prof. ssa Elena Corradini – testimoniano i diversi tentativi di rinnovamento delle vecchie espressioni artistiche, basate sui canoni della bellezza ideale del neoclassicismo, su cui molti artisti tra i quali Serafino de’ Tivoli, Giovanni Fattori, Silvestro Lega, Guglielmo Ciardi, Federico Zandomeneghi, Stefano Bruzzi, Luigi Bertelli, Carlo Pittara, Plinio Nomellini fondarono le loro ricerche, in particolare nello sviluppo della pittura di paesaggio, sul colore-ombra e sul colore-luce, che divennero fondamentali per le raffigurazioni realizzate dipingendo en plein air, basandosi sulla riproduzione dell’impressione del vero”.

E’ lo studio della luce che caratterizza sia il movimento dei macchiaioli, della scapigliatura, dei divisionisti sia le opere dei pittori che avevano studiato in quegli anni in Francia, come Federico Zandomeneghi, Giuseppe De Nittis, Giovanni Boldini, sia i movimenti artistici dei pittori romani, che fecero capo prima a Nino Costa poi a Giulio Aristide Sartorio, fondati sulla libertà nell’arte come l’associazione In Arte Libertas. Questa a partire dal 1904 confluì nella società dei XXV della Campagna Romana, intesa come quel grande scenario di natura che si estende tra i colli Albani e il Soratte, che numerosi artisti, tra i quali anche Onorato Carlandi, Filippo Anivitti, Enrico Coleman, Alessandro Morani, rappresentarono in poliedriche e differenti vedute.

“Questi percorsi – conclude il Rettore Gian Carlo Pellacani – saranno occasione per riflessioni e approfondimenti attraverso seminari organizzati per gli studenti del nostro Ateneo e, grazie all’utilizzo di strumenti multimediali, su temi di grande attualità legati al significato culturale e alla valorizzazione del paesaggio”.

Conclude la mostra una retrospettiva collaterale dedicata all’esplorazione visiva del mondo che un artista modenese, Giuliano Della Casa, suggerisce nelle sue opere intrecciando la percezione con l’immaginazione.