Abbiamo deviato un asteroide. La sonda DART della NASA, lo scorso 26 settembre, ha colpito Dimorphos, satellite dell’asteroide binario Didymos: le conseguenze dell’impatto – avvenuto a 13 milioni di chilometri di distanza dal nostro pianeta – hanno modificato la sua orbita. A certificarlo è una serie di cinque articoli pubblicati su Nature, che descrivono nel dettaglio cosa è successo e come i risultati di questa straordinaria missione possono aiutarci a difenderci da possibili oggetti astronomici in rotta di collisione con la Terra.
Tra i protagonisti dell’impresa c’è anche l’Università di Bologna, parte del team di LICIACube: un piccolo satellite finanziato e coordinato dell’Agenzia Spaziale Italiana, realizzato dall’azienda Argotec di Torino, che si è staccato dalla sonda prima dell’impatto e ha seguito gli effetti della collisione. Insieme agli studiosi dell’Alma Mater, il team tutto italiano di LICIACube comprende gli ingegneri di Argotec e ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), del Politecnico di Milano, dell’Università degli Studi di Napoli Parthenope e dell’IFAC-CNR di Firenze.
Gli studiosi coinvolti sono tra gli autori di uno dei paper pubblicati su Nature – guidato da Andrew Cheng dell’Applied Physics Lab della Johns Hopkins University – che mostra come l’impatto cinetico della sonda DART contro Dimorphos sia stato altamente efficace nel deviare l’asteroide. Un successo al quale ha contribuito in modo significativo la grande quantità di detriti generati dalla collisione ed espulsi nello spazio: il loro movimento ha spinto l’asteroide nella direzione opposta rispetto alla sua rotazione, portando a una modifica ancora più marcata della sua orbita originaria.
“I dati emersi dall’impatto di DART mostrano che la deviazione dell’orbita di un asteroide a seguito di una collisione di questo tipo può essere significativamente maggiore di quella attesa considerando il solo impatto della sonda”, spiega Marco Zannoni, ricercatore al Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Bologna, responsabile tecnico delle attività affidate all’Alma Mater, e tra gli autori dello studio. “I risultati ottenuti confermano che missioni di questo tipo hanno tutte le caratteristiche per poter prevenire potenziali futuri impatti di asteroidi in rotta di collisione con la Terra“.
La missione DART (Double Asteroid Redirection Test) della NASA ha rappresentato il primo test in scala reale della tecnica di impatto cinetico a scopo di difesa planetaria. Ricostruire nel dettaglio in che modo l’impatto della sonda ha modificato l’orbita di Dimorphos ci permette di capire come mettere a punto sistemi di difesa efficaci contro potenziali pericoli per il nostro pianeta.
Il contributo fondamentale dei ricercatori dell’Alma Mater, nell’ambito di questo progetto ha riguardato la determinazione ed il controllo della traiettoria di LICIACube, a partire dai dati di tracking ricevuti dalle antenne di terra del Deep Space Network della NASA, le cui immagini sono state usate nel paper pubblicato su Nature.
“La sfida più grande è stata quella di guidare il nanosatellite LICIACube, che si trovava a 10 milioni di chilometri dalla Terra e viaggiava a più di 6 chilometri al secondo, fino a posizionarlo nel punto giusto e al momento giusto per scattare le foto dell’impatto di DART con Dimorphos”, commenta Igor Gai, dottorando e assegnista di ricerca del Laboratorio di Radio Scienza ed Esplorazione Planetaria, ospitato nei laboratori del CIRI Aerospaziale, presso il Tecnopolo di Forlì.
Gli studi realizzati mostrano che il periodo orbitale di Dimorphos attorno all’asteroide principale Didymos è diminuito di circa 33 minuti: un risultato molto superiore a quanto atteso. È stato inoltre analizzato e descritto con precisione il luogo dell’impatto, avvenuto tra due rilievi rocciosi, uno dei quali è stato sfiorato dalla sonda. La collisione è stata osservata anche dal telescopio spaziale Hubble, che ha registrato la nube di detriti espulsa nello spazio, la cui forza ha contribuito a ridurre il periodo orbitale di Dimorphos oltre alle aspettative iniziali. E l’impatto è stato osservato anche dalla Terra, grazie a una rete globale di telescopi in chiave citizen science, tra cui uno a Nairobi e tre nell’Isola della Réunion che hanno assistito in diretta al momento della collisione. Grazie alle osservazioni realizzate è stato possibile calcolare la massa e l’energia dei detriti espulsi dall’asteroide e il loro movimento nel corso del tempo: tutti elementi preziosi per valutare le conseguenze delle prossime missioni di questo tipo.
Gli studiosi dell’Università di Bologna Paolo Tortora, Igor Gai, Dario Modenini e Marco Zannoni, tutti attivi al Dipartimento di Ingegneria Industriale, sono tra gli autori dello studio “Momentum Transfer from the DART Mission Kinetic Impact on Asteroid Dimorphos”, pubblicato sulla rivista Nature insieme ad altri quattro paper dedicati agli esiti della missione DART.
Il Johns Hopkins Applied Physics Lab ha costruito e controllato il veicolo spaziale DART e gestisce la missione DART per il Planetary Defense Coordination Office della NASA all’interno del progetto del Planetary Missions Program Office dell’agenzia. LICIACube è un progetto dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), realizzato da Argotec. Sia prima che dopo la collisione controllata di DART, né Dimorphos né Didymos hanno rappresentato o rappresentano un pericolo per la Terra.
Per informazioni, immagini e video sulla missione DART: dart.jhuapl.edu