Il Rettore Francesco Ubertini, durante la seduta del Senato Accademico di oggi, ha pronunciato un discorso per Emma Pezemo, la studentessa dell’Alma Mater violentemente uccisa e straziata dal suo fidanzato tra l’1 e il 2 maggio scorsi.
Emma era originaria del Camerun, aveva 31 anni, e le mancavano 4 esami per conseguire il titolo di laurea magistrale in Sociologia e Servizio Sociale. Sono state le sue amiche e compagne di studentato a dare l’allarme: l’hanno vista l’ultima volta sorridente, radiosa, vestita per uscire nel giorno di festa del Primo Maggio con quell’uomo di cui certamente si fidava e dal quale probabilmente mai aveva pensato di doversi difendere.
“Un femminicidio, un altro, il trentottesimo in Italia dall’inizio dell’anno, quasi tutti perpetrati da mariti, compagni, ex fidanzati, negli ambienti e contesti socio-culturali più diversi. Qualcuno potrebbe obiettare che ne parliamo oggi, qui, solo perché siamo stati toccati da vicino, perché la vittima era parte del nostro stesso mondo, ma l’obiezione corrisponde, solo in parte, a verità”. – ha affermato il Rettore.
“Le professoresse, i professori di Emma, le compagne e compagni, noi tutti piangiamo la studentessa, capace di impegnarsi in questi anni per costruirsi un futuro, lontana dalla famiglia. Piangiamo la ragazza che ha frequentato le nostre aule, che si è appassionata, esame dopo esame, a un percorso formativo, è vissuta in uno studentato condividendo momenti di gioia e magari talvolta anche di scoramento, ha contribuito, con le sue domande, allo scambio di saperi e pensiero critico che danno senso alla nostra istituzione.
Ma piangiamo anche la donna che è stata e quella che aveva tutto il diritto di diventare se un gesto di inaudita violenza non avesse annientato e stroncato la sua forza e la sua vitalità. E siamo costretti attraverso di lei a guardare in faccia una realtà terribile: nonostante siano passati già dieci anni da quell’11 maggio del 2011 in cui venne firmata la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, nota anche come Convenzione di Istanbul, le vittime continuano a crescere, e l’inferno, il più delle volte privato, è stato reso, lo dicono i dati ISTAT, ancora più spettrale dalla pandemia. Non c’è più tempo allora per farsi domande solo teoriche sulle cause, e il fenomeno richiede un approccio ampio. Dal punto di vista normativo, seppure con ritardo, l’Italia ha fatto negli ultimi anni dei passi avanti e il cosiddetto Codice rosso del 2019 ha introdotto rilevanti novità.
Ma non basta. Non può esistere prevenzione se non c’è cultura della prevenzione. E l’Università ha l’obbligo di essere istituzione trainante per questo cambiamento culturale: dobbiamo aiutare la società a disinnescare stereotipi, a scardinare meccanismi spesso inconsci, gli stessi che nel discorso che intesse i fatti di cronaca tendono a ricercare le ragioni, come se potessero essercene, o a identificare nel raptus o nella follia la leva della violenza; dobbiamo aiutare le nostre ragazze e i nostri ragazzi a crescere nell’autodeterminazione e nella coscienza critica.
L’Università deve assolvere il suo compito formativo, di ricerca e terza missione, deve moltiplicare i momenti di riflessione, già oggi numerosi, con iniziative che siano trasversali, aperte all’intera comunità, perché la violenza di genere non è un problema su cui debbano riflettere sempre e solo le donne, e nessuno può dirsi estraneo a una questione così cruciale, sulla quale si gioca il nostro futuro in quanto persone.
Già oggi possiamo dire che la nostra comunità ha messo in campo una forte empatia e diverse azioni per ricordare Emma: Er.Go le dedicherà una sala studio, il corso di laurea alla quale era iscritta e il Dipartimento di Sociologia e Diritto dell’Economia un’aula, e come Ateneo proporremo di conferirle la laurea alla memoria, che forse potrà lenire, anche solo per qualche istante, il dolore della sua famiglia e di chi le è stato vicino.
Vorremmo che la laurea fosse anche un simbolo del nostro impegno per ricordare Emma come parte della nostra comunità. – ha concluso il Rettore – Un monito e un auspicio: che siano, queste, azioni capaci di suscitarne altre, nella coscienza che solo se sarà culturale nel senso profondo del termine la battaglia contro la violenza sulle donne potrà essere efficace. Ricordiamo e interveniamo: voglio leggere queste parole come espressione di una comune certezza, ma anche testimonianza di un urgente imperativo”.