““Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?”. Così risponde Gesù, nel sinedrio, alla guardia che gli ha appena dato uno schiaffo … “Se ho fatto qualcosa di male, dimostrami dov’è il male, altrimenti perché mi dai la multa?”. Così potrebbe rispondere la “vecchietta” all’agente di Polizia Municipale di Sassuolo dopo aver allungato 2 euro di elemosina ad un questuante ed essersi, per questo, vista comminare una sanzione da 56 euro”. Sono le parole del Direttore della Caritas diocesana Reggio Emilia – Guastalla, Isacco Rinaldi in merito alla modifica del Regolamento comunale di Polizia Urbana di Sassuolo approvato in Consiglio Comunale.
“Davvero sono queste le priorità di un Comune in un momento storico così difficile ed eccezionale? Ci sarà un’altra crisi economica con gravi conseguenze e impoverimento di tante famiglie, i Servizi Sociali sono in affanno e, forse, senza sufficienti risorse per dare risposte all’aumento di richieste … le questioni “di facciata” sono davvero le più urgenti?
In passato le ordinanze per punire l’accattonaggio, con obiettivi simili a quelli della modifica del Regolamento comunale di Polizia Urbana di Sassuolo, ne facevano anche una questione di estetica, di decoro. A Sassuolo si vuole punire chi fa elemosina nei confronti di una persona più povera.
L’accattonaggio da combattere è quello molesto e già i regolamenti di Polizia Municipale lo prevedono e lo strumento è la denuncia, ma perché punire e multare un gesto di generosità e, soprattutto, fatto da una persona nella totale libertà? Ci si vuole liberare dagli accattoni punendo chi fa loro l’elemosina?
Sarebbe necessario distinguere chi è costretto all’accattonaggio, e rientra in giri di vero e proprio sfruttamento, da chi vende o chiede qualcosa per arrangiarsi e mantenersi. Nel primo caso è giusto cercare di limitare il fenomeno, ma sarebbe necessario perseguire gli sfruttatori e non gli sfruttati.
La filosofia principale che muove queste risoluzioni, con la quale non siamo assolutamente in linea, implica la discriminazione di una parte di popolazione: una fascia della nostra società che non vogliamo, ci infastidisce per il semplice fatto che tutti i giorni è davanti ai nostri occhi a ricordarci delle disuguaglianze tra persone e da quanto egoismo è pervasa la nostra società.
La povertà non può essere una colpa! Va contrasta con politiche e non con multe. Il pericolo di queste scelte è di aggravare la diffusione di una cultura negativa e una diffidenza generalizzata verso chi è nel bisogno. Dobbiamo stare attenti a non perdere la capacità di discernimento e di individuazione delle vere cause di povertà e sfruttamento e a non ingenerare paura nella relazione col bisognoso.
La cosa grave che ci sentiamo di rispedire al mittente è che nel dibattito del Consiglio Comunale di Sassuolo del 27 aprile da più consiglieri è uscita la tesi che “queste persone devono andare alla Caritas”. La carità non è una delega in capo a una organizzazione ecclesiale e alle poche persone che vi lavorano. E le persone povere, comprese tante di quelle che fanno elemosina in giro, ci vanno già alla Caritas! E alla Caritas trovano ascolto, e, laddove possibile, progettualità e accompagnamento per uscire dalla situazione di difficoltà e precarietà.
Condannare il gesto del fare elemosina e renderlo “sbagliato” e punibile, è proprio il contrario della ricerca del bene comune. A nostro parere è cosa gravissima, soprattutto se giustificata anche con la motivazione di combattere il degrado.
Non c’è bisogno di essere cristiani, cattolici e praticanti per capire quanto sia grave introdurre la punibilità della solidarietà, di un gesto fatto in piena libertà. Altresì, a maggior ragione, i cristiani dovrebbero essere i primi a fare un sobbalzo di fronte a queste scelte e a questa cultura che risulta essere vessatoria nei confronti dei più poveri, degli emarginati, degli sfruttati, di coloro che ogni giorno ci chiedono, a livello personale e comunitario, di convertirci.
Le soluzioni a questo tipo di problemi si devono trovare insieme. I percorsi non sono certamente facili ma, sicuramente, non bastano le ordinanze e i regolamenti comunali. Tutti possiamo fare un cammino di condivisione e di conversione, vivendo maggiormente la sobrietà, la solidarietà e la vicinanza a coloro che fanno più fatica, a coloro che sono comunque nostri fratelli da amare e non da respingere, cacciare o multare!” – conclude Isacco Rinaldi, Direttore Caritas diocesana Reggio Emilia – Guastalla.