Una mamma fragile con problematicità di tipo sociale o sanitario si traduce spesso in una famiglia fragile, incapace cioè di mettere in campo tutte le risorse necessarie a sostenere il ruolo di genitori e quindi di provvedere al nascituro. Al contrario, una mamma seguita dalla gravidanza e anche dopo le dimissioni ospedaliere, aiutata con i giusti supporti, è il primo passo per prevenire forme di disagio e tutelare il diritto del minore a crescere all’interno della propria famiglia.

Da questi presupposti nasce il Protocollo per la “Presa in carico della donna in gravidanza e dimissioni protette di madre e bambino con fragilità socio sanitaria”, frutto del lavoro congiunto di operatori dei Servizi sociali territoriali del Comune di Modena, dell’Azienda sanitaria locale e dell’Azienda Ospedaliero – Universitaria di Modena.

Il percorso, che ha preso il via con una lunga sperimentazione, ha coinvolto i professionisti dei Poli sociali territoriali e del Puass, il Punto unico di accesso socio sanitario; dei Dipartimenti di Cure Primarie attraverso i Consultori familiari, la Pediatria di comunità, i Medici di famiglia, il Servizio di Psicologia clinica minori e famiglie; del Dipartimento di Salute mentale e delle Dipendenze patologiche con Centri di Salute mentale, il Servizio di Diagnosi e Cura, Dipendenze Patologiche e Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza e, ancora, le Strutture di Ostetricia-Ginecologia, Neonatologia, Psicologia ospedaliera del Policlinico.

Una schiera di professionisti che lavorano insieme condividendo esperienze e informazioni, intervenendo in diverse fasi del percorso allo scopo di creare una rete di monitoraggio e supporto che non lascia sola una mamma con problematicità, tenendo presente che, in un momento di cambiamento così importante per la vita di ogni individuo come la nascita di un bambino, la fragilità è in realtà possibile in ogni famiglia.

I nuclei interessati non sono quindi solo quelli seguiti dal servizio sociale territoriale, ma anche in carico ad altri servizi che, a vario titolo, conoscono la donna e la sua realtà famigliare e ritengono sia utile realizzare un progetto di sostegno coinvolgendo i servizi socio-sanitari del territorio, oltre che ospedalieri.

In primo luogo, la famiglia inizia con i professionisti un percorso di maggior consapevolezza dei cambiamenti legati all’assunzione del ruolo genitoriale, a breve e a lungo termine. Dunque, la donna, e con lei la famiglia, partecipa attivamente al progetto non solo durante il ricovero in ospedale, ma anche in occasione degli accessi ai servizi territoriali che la incontrano in modo costante e continuativo nel corso della gravidanza e dopo il parto

Il percorso di presa in carico consente pertanto di conoscere le famiglie, le loro risorse responsabilizzando e coinvolgendo il contesto formale e informale di riferimento dei neo genitori, in modo da realizzare una rete di supporto e di monitoraggio.

 

UN SOSTEGNO PER HASMA, OTTAVIA E REBECCA

La sperimentazione che ha consentito di arrivare a definire il Protocollo per la “Presa in carico della donna in gravidanza e dimissioni protette di madre e bambino con fragilità socio sanitaria” è partita tre anni fa e ha riguardato ogni anno un numero crescente di donne e quindi le loro famiglie: 17 nel 2017, 67 nel 2018, 78 nel 2019. Alcune storie, per quanto solo accennate, possono aiutare a capire la complessità dei casi e degli interventi attuati.

Hasma ha poco più di 20 anni, è arrivata in Italia dal Marocco solo pochi mesi fa. Non lavora, non parla italiano ed è al quarto mese di gravidanza. Alle operatrici del consultorio a cui si è rivolta è parsa socialmente molto isolata e completamente dipendente dal marito; l’uomo, molto più vecchio di lei, vuole essere sempre presente alle visite e si frappone al mediatore linguistico. È così che dal consultorio parte la segnalazione al servizio sociale territoriale innanzitutto riguardo alla necessità di una maggiore integrazione della ragazza, soprattutto in vista della nascita del bimbo. Attraverso la condivisione e la valutazione dei rischi da parte di un équipe di professionisti socio sanitari prende il via un progetto che coinvolge contemporaneamente più istituzioni. Il coinvolgimento della ragazza nelle attività dello spazio donne straniere afferente al consultorio, la partecipazione a un corso di lingua italiana, insieme all’invito del medico di famiglia a una visita generale che diventa periodica, sono i primi passi del progetto di accompagnamento pensato per lei, un progetto che potrà cambiare anche alzando il livello di attenzione sulla base delle esigenze che emergeranno.

Ottavia, invece, ha già superato la quarantina ed è alla terza gravidanza di un bambino non cercato. Al medico di famiglia confessa preoccupazioni soprattutto di tipo economico: il compagno è in cassa integrazione e in famiglia ci sono già due figli adolescenti che frequentano le superiori; inoltre lei si prodiga anche per i parenti anziani che non possono essere di aiuto. Dal medico di base parte quindi la segnalazione ai servizi sociali territoriali e al consultorio per una condivisione dei bisogni della famiglia di Ottavia, tesa a realizzare una rete di supporto che coinvolga i servizi sociali e sanitari. Il fattore di rischio, in questo caso, è infatti importante: la sottovalutazione del nuovo parto potrebbe rendere necessario un accompagnamento di tipo psicologico per evitare una crisi post partum. Si deve coinvolgere anche la pediatria di comunità che potrà seguire, dopo le dimissioni ospedaliere, la donna rispetto all’allattamento, al monitoraggio dell’accrescimento del bambino e all’attività di cura. I servizi sociali valuteranno anche la possibilità di un educatore domiciliare a sostegno degli figli più grandi nei confronti dei quali si potrebbe attivare anche il vicinato con cui la famiglia ha buoni rapporti. Occorrerà infine valutare l’attivazione di un sostegno economico sulla base delle reali condizioni della famiglia.

Infine, Rebecca ha 35 anni e segue un programma Serd di disintossicazione, utilizzando metadone dal momento che è in attesa del suo primo figlio, fortemente desiderato. A causa della sua vita ai margini, ha sporadici rapporti con la famiglia di origine: i genitori e un fratello maggiore che hanno accolto con estremo disagio e disappunto la sua gravidanza dal momento che lei non ha un compagno, non ha un lavoro né un’abitazione stabile ed è sempre stata “una poco di buono”. Il medico del Serd effettua la segnalazione al Servizio sociale per un programma congiunto.

La futura mamma è molto sola, ma il desiderio di una genitorialità desiderata può essere per lei la molla per cambiare completamente vita. Quindi ci vuole un percorso di accompagnamento che vedrà l’inserimento della mamma e del neonato in una comunità di accoglienza in cui lei possa proseguire il suo percorso di disintossicazione, mentre accudisce il suo bambino, potendo contare sul sostegno di educatori e professionisti sanitari, anche per quanto riguarda il sostegno psicologico. Il monitoraggio dell’ospedale sul bambino sarà costante e puntuale, i neonatologi ne seguiranno l’accrescimento attraverso accessi programmati. Al tempo stesso i servizi sociali continueranno a incontrare la famiglia d’origine della ragazza per favorire un miglioramento nella relazione con lei.