Ai danni da cimice sulle drupacee si sommano adesso quelli dei listini di liquidazione. Proprio così, quei frutti freschi, sani e salubri, arrivati sullo scaffale dopo una stagione agricola nera, verranno liquidati con due spiccioli non prima della fine dell’anno o addirittura entro giugno 2020. «Stimiamo una perdita media di 3.000 – 4.000 euro a ettaro in Emilia-Romagna, con quotazioni che si attestano sui 35-40 cent/chilo per le albicocche; 20-25 cent per le pesche; 25-30 per le nettarine e circa 20-25 per le susine.
Evidentemente le strutture di conferimento non hanno svolto bene il compito a loro attribuito, che va dalla regolazione della produzione alla strategia di marketing. Come fermare ora gli abbattimenti dei frutteti? Ma ciò pare non interessare neppure a chi sfila per l’ambiente», osserva il vicepresidente dei frutticoltori di Confagricoltura Emilia Romagna, Nicola Servadei, che produce drupacee nel Ravennate.
Punta il dito contro chi, per anni, non ha saputo aggiustare il tiro il presidente regionale dei frutticoltori, Albano Bergami: «Conosciamo il colpevole: la pessima gestione organizzativa e commerciale di tutto il comparto delle drupacee. Va rivisto completamente il sistema attuale perché risultano fallimentari sia le scelte varietali che la programmazione
dell’offerta quali-quantitativa, come mettere al primo posto la shelf life-conservabilità invece della bontà del prodotto. Abbiamo solo due possibilità, la prima – avverte – è regolare l’offerta a livello europeo, obiettivo difficilmente raggiungibile nel breve periodo; la seconda, seguire l’esempio di alcune iniziative portate avanti nei comparti più vicini (mele
e kiwi), dove le operazioni di maggiore successo vengono gestite da uno o più soggetti commerciali, che partendo dall’individuazione di varietà corrispondenti alle esigenze dei consumatori e quindi dei mercati, controllano e regolano tutti i passaggi della filiera, dalla produzione del materiale vegetale alla commercializzazione, attraverso la costituzione di Club Varietali».
Alberto Mazzoni, vicepresidente di Confagricoltura Emilia-Romagna, si sofferma sulla necessità di difendere le produzioni del territorio, che sono le uniche davvero sostenibili per l’ambiente: «Vogliamo tutti un’agricoltura dagli alti standard qualitativi, però poi chiediamo ai produttori di lavorare per 20 centesimi al chilo, ampiamente al di sotto dei costi di
produzione. Servono soluzioni dal campo alla trasformazione e vanno ricercate nell’ambito della filiera; occorre una nuova progettualità anche per il prodotto destinato all’industria».