La Mielofibrosi Primaria, un particolare e raro tumore del sangue, fa oggi meno paura. Grazie ad uno studio sviluppato a Modena presso il Centro di Medicina Rigenerativa “Stefano Ferrari” del Dipartimento di Scienze della Vita di Unimore è stato possibile giungere a nuove importanti conoscenze che svelano i meccanismi molecolari alla base dello sviluppo di questa patologia, identificando nuovi bersagli terapeutici.
La scoperta dei ricercatori modenesi per la sua valenza è stata pubblicata recentemente su “Leukemia”, la più importante rivista ematologica internazionale.
“Le malattie mieloproliferative croniche – spiega la prof.ssa Rossella Manfredini, docente di Biologia e Genetica a Unimore e responsabile dello studio – sono tumori del sangue nei quali, a causa di mutazioni nel DNA delle cellule staminali emopoietiche, si ha un’abnorme produzione di alcune cellule del sangue. Tra queste malattie, la mielofibrosi primaria è particolarmente grave, poiché determina una profonda alterazione dell’architettura del midollo osseo con sviluppo di tessuto fibroso che causa la progressiva perdita di funzione del midollo”.
Questa neoplasia, in modo più o meno aggressivo, porta i pazienti a morte mediamente nell’arco di 5 anni. Le attuali terapie infatti non sono risolutive in quanto non sono in grado di rallentare il processo di fibrosi e di prolungare la vita dei pazienti.
Nonostante i numerosi sforzi per caratterizzare le alterazioni del genoma alla base dello sviluppo della Mielofibrosi Primaria, le mutazioni identificate nelle cellule emopoietiche neoplastiche non sono in grado di riprodurre la malattia nel topo, quindi altri fattori contribuiscono alla progressione e all’aggressività di questa neoplasia.
“I nostri dati aggiungono un pezzo importante a questo puzzle – afferma la dott.ssa Elisa Bianchi di Unimore – in quanto dimostrano come l’oncogene Maf, la cui espressione è aumentata nelle cellule staminali emopoietiche neoplastiche dei pazienti con Mielofibrosi Primaria, è in grado di amplificare il rilascio di molecole che promuovono la fibrosi, che compromette la funzione del midollo osseo”.
“I dati ottenuti dal nostro studio – aggiunge la dott.ssa Samantha Ruberti di Unimore – hanno permesso di individuare potenziali geni “bersaglio” dell’oncogene Maf. Tra questi, abbiamo identificato una molecola che favorisce la fibrosi, l’osteopontina, i cui livelli sono significativamente più alti nel plasma di pazienti affetti da mielofibrosi primaria rispetto agli individui sani”.
Lo studio è stato finanziato dall’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro – AIRC (Special Program in Clinical & Molecular Oncology), uno dei 14 progetti italiani finanziato da questo ente con i proventi del 5X1000. Questo progetto si è avvalso della collaborazione delle 7 unità facenti parte del gruppo AGIMM (AIRC Gruppo Italiano Malattie Mieloproliferative, http://www.progettoagimm.it), coordinate dal prof. Alessandro Vannucchi dell’Università di Firenze.
“Il progetto AGIMM – afferma la prof. ssa Rossella Manfredini – è nato con l’intento di caratterizzare i meccanismi molecolari alla base dell’insorgenza e dell’evoluzione delle neoplasie mieloproliferative croniche, identificando nuovi parametri per la diagnosi e la prognosi e sperimentando nuove terapie volte ad eradicare la malattia e migliorare la qualità della vita dei pazienti”.
In questa direzione, lo studio dei ricercatori modenesi ha permesso di dimostrare come l’osteopontina sia un gene bersaglio di Maf e un importante mediatore attraverso il quale le cellule emopoietiche neoplastiche condizionano il comportamento di altri tipi cellulari nel midollo osseo e promuovono la fibrosi. Le analisi effettuate hanno permesso inoltre di dimostrare come i livelli plasmatici di osteopontina siano correlati al livello di gravità della fibrosi che questi pazienti presentano a livello del midollo osseo e rappresentino un nuovo importante parametro prognostico nei pazienti con mielofibrosi primaria.
Lo studio quindi definisce come i livelli plasmatici di osteopontina rappresentino un nuovo importante marker utilizzabile a scopo prognostico nei pazienti con mielofibrosi primaria ed identifica Maf ed osteopontina come nuovi bersagli terapeutici potenzialmente utilizzabili per il disegno di terapie sperimentali volte a reprimere il processo di fibrogenesi nella mielofibrosi primaria.
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Nella foto da sx: Elisa Bianchi, Rossella Manfredini, Samantha Ruberti