mano-pelletPossono coesistere produzione di bioenergie ed alimenti di qualità? Nell’anno in cui il nostro Paese ospita EXPO, l’esposizione universale dedicata ai temi dell’alimentazione, dell’ambiente  della natura, la risposta arriva da una ricerca del Dipartimento di Scienze della Vita e, in particolare, da un gruppo di ricercatori che ha riunito studiosi del Dipartimento di Scienze della Vita di Unimore – Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, della CAT – Cooperativa Agroenergetica Territoriale di Correggio (RE) e della SCAM – Mezzi e tecniche per l’agricoltura di Modena.

Grazie allo studio, che ha coinvolto il dott. Domenico Ronga, il prof. Andrea Pulvirenti ed il prof. Nicola Pecchioni di Unimore, Massimo Zaghi di CAT e Anna Rita Tomasselli di SCAM, si può puntare a ridurre, se non ad eliminare, il potenziale conflitto tra impianti di Biogas e produzione di Parmigiano Reggiano.

Lo studio, pubblicato sulla rivista internazionale BIOMASS and BIOENERGY,  ha affrontato la sfida della coesistenza degli impianti biogas, in aree vocate alla produzione di prodotti agroalimentari di qualità quali quelle del Parmigiano Reggiano, producendo un nuovo fertilizzante che chiude il ciclo del carbonio nei campi, senza il problema di tipo microbiologico, con minori costi di trasporto e quindi ad alta sostenibilità ambientale. La ricerca mette in evidenza un trattamento del digestato, la pellettizzazione che permette l’eliminazione dei clostridi, microrganismi ubiquitari che – ad elevate concentrazioni – possono provocare problematiche nella produzione di alcune specialità alimentari, quali i formaggi stagionati. Inoltre, il trattamento aumenta la concentrazione dei nutrienti a disposizione delle piante mediante la riduzione del contenuto di acqua, unita ad una riduzione del pH.

Come i ricercatori hanno reso possibile l’eliminazione dei clostridi?

Gli impianti di biogas per produrre energia rinnovabile (biometano, energia elettrica e calore) utilizzano biomasse e sottoprodotti della filiera agroalimentare. I clostridi sono presenti soprattutto all’interno delle biomasse e restano dopo il processo di digestione nel digestato, che è il prodotto di scarto in uscita dall’impianto biogas. Il digestato contiene al suo interno tutti gli elementi nutritivi necessari nella concimazione (azoto, fosforo, potassio, calcio e magnesio), ma anche la presenza di clostridi. Pertanto, se viene usato il digestato senza nessun pretrattamento si immette in campo un buon fertilizzante che, però, ha al suo interno la presenza di clostridi che potrebbero diffondersi alle coltivazioni. La tecnica della pellettizzazione consiste nella disidratazione del digestato e poi nella sua pellettizzazione in forma di cilindretti mediante l’utilizzo sinergico di alte temperature e alte pressioni. Questa tecnica permette di concentrare gli elementi nutritivi ed eliminare questi microrganismi.

“Si tratta di una ricerca – affermano i ricercatori Unimore Domenico Ronga, Andrea Pulvirenti e Nicola Pecchioni –  che si differenzia per innovatività e per aver prospettato interessanti scenari sia in termini economici, produttivi e di impatto ambientale. Ma, soprattutto, si tratta di un lavoro che salvaguarda un prodotto che caratterizza fortemente il comparto agricolo nazionale e va incontro alle attenzioni di chi pone in dubbio la coesistenza della produzione di bioenergie e di alimenti di qualità. Da un punto di vista ambientale, il digestato pellettato ritornando al terreno come fertilizzante chiude il ciclo del carbonio, iniziato in campo prima dell’impianto di biogas, contribuendo alla mitigazione delle emissioni di anidride carbonica”.

La ricerca, realizzata grazie al contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Reggio Emilia Pietro Manodori, sottolinea quanto sia importante il dialogo tra mondo industriale, ricerca scientifica e società civile.