Dal 2010 al 2014 l’export del settore manifatturiero italiano è cresciuto da 323 a 382 miliardi di euro (+18,4%), mentre l’import è leggermente diminuito (da 285 a 282 miliardi), grazie a questo il surplus commerciale ha raggiunto lo scorso anno un livello record (una cifra attorno ai 100 miliardi di euro). Ce ne parla Tiziano Motti, eurodeputato della settima legislatura e presidente di Europa dei Diritti, analizzando i dati dell’ultimo rapporto I.t.a.l.i.a. – Geografie del nuovo made in Italy di Unioncamere, Fondazione Edison, Fondazione Symbola e Aiccon. Per trovare un attivo industriale più alto di quello italiano – che è il quinto in assoluto – bisogna spingersi in Estremo Oriente, cioè in Cina, Giappone e Corea. E’ dunque evidente come il Made in Italy sia riuscito a competere e a registrare ottime performance sul piano internazionale. Settori che hanno visto crollare i consumi interni, hanno trovato nuovi sbocchi nei mercati esteri (si pensi al comparto dell’arredo-casa, ricorda il rapporto. La crisi ha indebolito invece la domanda interna. In particolare l’industria manifatturiera italiana ha registrato una flessione del fatturato interno pari al 17,9%, quando in Germania è stata del 2,1% (in Francia, al contrario, si è verificata una crescita del 4,5%). Sui mercati esteri il trend è stato di segno opposto. In questo caso il nostro paese ha evidenziato una crescita del fatturato del 10,8%, sopra il risultato tedesco (+8,8%) e quello francese (+3%). L’Italia risulta dunque essere tra i paesi che meglio hanno fronteggiato la concorrenza di costo della Cina e dei paesi cosiddetti Bric, mantenendo nel 2014 il 95,8% delle quote di export rispetto al 2010, su livelli simili a quelli del Regno Unito (98,1%) e della Germania (96,9%), sopra la Francia (89,7%) e il Giappone (71,2%), ma inferiore agli Stati Uniti.