Basterebbero i numeri per far comprendere come grandi opere di pubblica utilità possano trasformarsi in abbuffate pantagrueliche per costruttori, cavatori, speculatori, politici e tecnici corrotti. Numeri che lievitano vertiginosamente in pochi anni, accompagnati da relazioni tecniche spesso discutibili e poco trasparenti che sembrano giustificare un “doping contabile” finalizzato a creare un tesoretto che metta insieme tutto e tutti.
Si comincia dalla materia prima, la ghiaia, l’oro grigio della colata di cemento che inonda i nostri territori. L’autostrada Cispadana, dovrebbe assorbire, da sola, ben 15 milioni di metri cubi di ghiaia. Se si considerano i 4 milioni di metri cubi di ghiaia inizialmente previsti dalla Provincia nel giugno 2006 (Conferenza di Pianificazione del PIAE) il fabbisogno di ghiaia è praticamente triplicato in appena tre anni esibendo dati e procedure di stima poco dettagliate e difficilmente verificabili. La riconfigurazione della Cispadana da tangenziale ad autostrada ha fatto lievitare in modo enorme, non solo i costi, ma anche il consumo di suolo di vere e proprie “aree di sacrificio” comprendenti i Comuni di San Cesario, Castelfranco, Savignano e Spilamberto.
La tangenziale al servizio dei Comuni della Bassa, già completata in alcuni tratti, è ormai superata, spazzata via da smisurate previsioni di traffico. Ancora una volta, le cifre lievitano, oltre 1 milione e 500 mila veicoli al mese, andando a legittimare l’esigenza di un’autostrada a pedaggio che importi traffico dall’Europa. Più auto, quindi più entrate per i privati che prima costruiscono e poi incasseranno con i pedaggi. E poco importa della perdita irreversibile di terreni agricoli, dell’inquinamento, della svalutazione degli immobili, che accomunerà le popolazioni attraversate dalla Cispadana a quelle delle “aree di sacrificio” dove si scaverà la ghiaia. Anche alla luce di quanto emerso dalle indagini della Procura di Firenze sarebbe il caso di ripensare all’opportunità della grande opera, studiando magari soluzioni di trasporto alternative oppure meno impattanti sull’ambiente e sull’aria che respiriamo. A meno che, quel che conta non sia tanto il bene comune, quanto piuttosto “la grande abbuffata”: titolo di un film degli anni 70, dove i protagonisti, chiusi nel loro mondo, mangiando fino alla morte, decidono di suicidarsi.