A questo proposito il Consigliere regionale del Pdl, Fabio Filippi ha dichiarato: “Ritengo che, fra la stragi delle foibe, perpetrate dai partigiani comunisti titini nel secondo dopoguerra e quella compiuta a Cernaieto, sull’Appennino reggiano, da partigiani rossi locali, vi siano forti analogie.
La strage di Cernaieto è rimasta indelebile nella mente di molti reggiani: è difficile infatti dimenticare quella buca, trasformata in una fossa comune, dove furono gettati dai partigiani comunisti, 23 persone, fra i quali una giovane donna, Paolina Viappiani.
Sono diverse le analogie che collegano quella stage alla tragedia delle foibe in Friuli: a capo di questa operazione di sterminio vi fu il capo partigiano comunista, Americo Clocchiatti, lo stesso che operò in Friuli Venezia Giulia, in collaborazione con i partigiani jugoslavi di Tito; la tecnica omicida impiegata fu la stessa, le vittime furono legate insieme con il filo di ferro e fatte precipitare nel vuoto. Fra i morti c’era Paolina Viappiani, giovane che aveva la sola colpa di essere stata la ragazza di un partigiano comunista reggiano e di essere rimasta incinta: il suo fidanzato “eroe”, rifiutandosi di adempiere ai suoi doveri di padre, decise di liberarsi della donna indicandola come spia dei fascisti. Le vittime, prima torturate e poi uccise, erano precedentemente state giudicate e condannate al carcere (in quanto prigionieri di guerra). Ai partigiani comunisti però questa condanna non bastava e decisero di costringere i prigionieri ad una morte atroce adducendo a giustificazione che i militi della Rsi, finiti nella fossa comune, si erano macchiati di un delitto, quello del partigiano Landini, ucciso per strangolamento con un filo di ferro. In realtà, secondo la testimonianza di un parente del partigiano stesso, la vittima non presentava alcuna ecchimosi sul collo, mentre sul fianco sinistro riportava una ferita da arma da fuoco: a questo proposto va rilevato che, essendo stato Landini colpito in azione di guerra a Cà Bedogni, durante uno scontro fra i militi della Rsi e i partigiani, molto probabilmente la ferita mortale fu provocata dal “fuoco amico”: La sua morte venne comunque presa a pretesto per giustificare la strage di Cernaieto. Di questa strage nessuno ha parlato per sessantacinque anni. Per averne parlato io stesso ho subito, a più riprese, minacce ed intimidazioni.”