I risultati del recente studio – commissionato ad Arpa dalla Provincia di Reggio Emilia e dai quattro Comuni interessati – sulle caratteristiche qualitative delle prime falde acquifere nei territori di Bagnolo, Cadelbosco Sopra, Gualtieri e Novellara, con particolare riguardo alla presenza di insediamenti zootecnici e all’attività di spandimento liquami, sono stati illustrati questa mattina a Palazzo Allende dagli assessoti all’Ambiente di Provincia e Comune di Cadelbosco Sopra, Mirko Tutino e Tania Tellini, insieme agli stessi tecnici della sezione Arpa di Reggio Emilia, Adriano Fava e Luca Torregiani (presenti anche il sindaco di Cadelbosco Silvia Cavalchi, gli assessori all’Ambiente dei Comuni di Gualtieri e Bagnolo, Renzo Bergamini e Mara Bertoldi, e la direttrice di Arpa Fabrizia Capuano.

“Per un anno sono stati monitorati 32 pozzi superficiali, da cui dunque non viene captata acqua potabile per le abitazioni, e lo studio ha evidenziato un impatto dell’inquinamento causato dagli allevamenti, ma anche da liquami fognari e attività produttive: questi risultati ci serviranno per una buona pianificazione delle attività del nostro territorio”, ha detto l’assessore Tutino, spiegando che è stata “analizzata anche la qualità dell’aria per quanto riguarda in particolare l’ammoniaca prodotta dagli allevamenti zootecnici, con risultati confortanti rispetto alla salute umana”.

Lo studio di Arpa

Se da un lato le attività zootecniche, la cui presenza caratterizza da sempre il territorio dei quattro comuni della Bassa, rappresentano un importante comparto produttivo per l’economia locale, è innegabile che esse possono produrre impatti non trascurabili sull’ambiente, in particolare su acqua e aria. Anche alla luce della tendenza alla concentrazione delle attività, cioè ad un aumento delle dimensioni degli allevamenti, è indispensabile individuare e applicare efficaci e mirate soluzioni tecniche per prevenire e mitigare gli impatti generati dagli allevamenti e dalle attività di spandimento. Ed è altrettanto indispensabile, per fare ciò, una buona conoscenza delle caratteristiche qualitative delle componenti ambientali da “proteggere”, delle reali cause dei possibili inquinamenti e delle modalità di immissione delle fonti inquinanti.

Per questi motivi, lo studio di Arpa si e’ concentrato sull’acquifero freatico di pianura, solo recentemente inserito tra i corpi idrici significativi e quindi non monitorato quanto gli acquiferi più profondi, dalla quali si preleva l’acqua destinata al consumo umano (le caratteristiche qualitative della falda superficiale, soprattutto nella fascia di pianura alluvionale, non ne permettono infatti da tempo l’utilizzo idropotabile). Si tratta di un acquifero separato da quelli sottostanti, di spessore contenuto (generalmente entro 25 metri) e, proprio per le sue caratteristiche idrogeologiche (scarsa profondità, ricarica diretta dai corsi d’acqua superficiali), sottoposto a notevoli pressioni antropiche. Il monitoraggio sui 32 pozzi individuati in collaborazione con i Comuni è durato un anno, quindi un arco temporale limitato per trarre conclusioni tecnicamente risolutive. Tuttavia sono emerse alcune indicazioni importanti, seppur preliminari, soprattutto in termini di confronto delle caratteristiche chimiche delle acque analizzate (pozzi di raffronto con profondità superiore a 100 metri, pozzi con profondità compresa tra 16 e 30 metri e con profondità fino a 15 metri). I dati più interessanti sono – come prevedibile – quelli riferiti ai pozzi più superficiali (da 0 a 15 metri di profondità). Malgrado la forte dispersione dei valori di concentrazione tra pozzi diversi, indice di possibili influenze localizzate, si evidenzia una distribuzione omogenea su tutto il territorio studiato di concentrazioni elevate di elementi e sostanze di origine agricolo-zootecnica, alcune da imputare principalmente allo spandimento di liquami, alcune allo spargimento di fertilizzanti e altre, infine, ascrivibili ad entrambe le sorgenti. Si è inoltre rilevata una costante – e a volte marcata – contaminazione microbiologica. Infine, sia per i parametri chimici che per quelli microbiologici può essere considerata l’influenza dei liquami fognari. Il quadro ricostruito, per quanto preliminare, conferma come l’acquifero freatico di pianura risulti sensibile a tutte le pressioni antropiche. Sarà importante ottimizzare la rete di monitoraggio attraverso un confronto con la Regione, già richiesto dalla Provincia e dagli altri enti coinvolti nel progetto, che possa fornire un quadro di scala più vasta rispetto alle problematiche riscontrate ed alle possibili soluzioni.

Per quanto attiene le emissioni ammoniacali, il quadro conoscitivo parte dal presupposto che le attività di allevamento rappresentano in Italia la principale fonte di emissione di ammoniaca e di altri gas ad effetto serra. Attraverso l’utilizzo di modelli informatici, utilizzando come dato di ingresso il numero di capi suini e bovini allevati e la georeferenziazione dei terreni di spandimento, sono stati ottenuti i livelli di emissioni di ammoniaca sul territorio indagato. In particolare lo studio ha contemplato il monitoraggio delle emissioni ammoniacali presso l’Azienda agricola Fontanelle di Cadelbosco di Sopra durante i periodi di spandimento dei liquami. I dati rilevati evidenziano concentrazioni variabili dai 20 ai 70 microgrammi per metro cubo, un aumento della concentrazione in atmosfera associato ai giorni di spandimento che tende a ridursi velocemente nei giorni successivi ed un contributo delle emissioni derivanti dagli spandimenti dello stesso ordine di grandezza di quello generato dagli stabilimenti. La normativa non definisce alcun valore limite per l’ammoniaca in ambiente mentre per quanto concerne gli effetti sull’uomo sono presenti limiti di esposizione per i lavoratori pari a 17.000 microgrammi/mc. Le emissioni ammoniacali hanno tuttavia un ruolo di primaria importanza nella produzione di particolato atmosferico secondario, in particolare PM10 e PM2,5 quali appunto fonte secondaria. Le azioni preventive del comparto zootecnico per la riduzione delle emissioni ammoniacali si possono riassumere nell’adozione di buone tecniche di spandimento quali: l’impiego di mezzi che non portino a formazione di areosol, l’applicazione dei liquami a strisce, l’interramento rapido o immediato dei liquami, l’applicazione di liquami a basso tenore di sostanza secca tali da infiltrarsi più rapidamente nei terreni.

Gli interventi di tutela dell’acquifero freatico di pianura così come il contenimento delle emissioni ammoniacali, passano attraverso il coinvolgimento di enti e associazioni a diversi livelli e di politiche a medio e lungo termine. In primo luogo una pianificazione territoriale che tenga conto degli impatti costituiti dalla residenza diffusa e contestualmente della salvaguardia del territorio agricolo; in secondo luogo la necessaria e progressiva trasformazione dei comparti agricolo e zootecnico verso sistemi di produzione ambientalmente sostenibili come richiesto sia dalle politiche comunitarie che da quelle locali. Verso tali obiettivi la Provincia agirà in occasione dei rinnovi delle Autorizzazioni ambientali integrate.