Taglio delle risorse per la sanità. Mantenimento della quantità e qualità dei servizi. Invecchiamento della popolazione e piano socio sanitario da rinnovare per la nostra provincia nel 2012.… se ne è ampiamente discusso al meeting “Presente e futuro del servizio socio – sanitario a Reggio Emilia: l’area vasta è la risposta alla crisi?”, tenutosi questa mattina, venerdì 18 novembre, presso l’Auditorium Simonazzi, a Reggio Emilia.
“Ci chiediamo come può reggere la sanità dinnanzi a un calo generalizzato di risorse – chiede Margherita Salvioli Mariani, segretaria generale della Cisl Reggio Emilia –. C’è il rischio di un calo qualitativo e il quantitativo. Dinnanzi a questo dobbiamo trovare le risorse ma anche riprogettare pezzi e servizi importanti. Un servizio sanitario (mediamente) molto positivo ma che va adeguato alla struttura sociale profondamente modificata e condizionata dai processi di divisione del lavoro globali del pianeta. Non abbiamo condiviso il taglio dei trasferimenti lineari attuati dal Governo che hanno penalizzato anche quelle realtà che garantiscono i servizi. Oggi vogliamo discutere del tema dell’omogeneità del servizio, se l’area vasta è una possibile risposta al calo delle risorse e se concentrare servizi produce risparmi”.
Taglia corto e si smarca da altre posizioni di altre organizzazioni Loris Cavalletti, segretario Fnp-Cisl: “La sanità è uno dei punti qualificanti del nostro welfare. Richieste demagogiche come negli anni Settanta non hanno senso”.
Al meeting organizzato dalla Cisl reggiana e dalle categorie Fisascat (Federazione italiana sindacati addetti servizi commerciali affini turismo), Fnp (Federazione nazionale pensionati), Fp (Funzione pubblica) è intervenuto Fosco Foglietta, direttore Cup Emilia Romagna: “Il servizio sanitario locale nazionale funziona bene e costa meno del privato. Sulla sanità in 80 Paesi con servizio sanitario pubblico, un’indagine colloca l’Italia tra i meno onerosi. 2800 dollari pro capite di costo, contro i 7500 degli Usa e i 3800 della Francia (poco sopra la media Ocse di 2350). Una spesa che incide sul Pil meno degli Stati Uniti”.
Italiani soddisfatti del sistema sanitario?
“Ovunque emerge che c’è una percezione positiva, anche nelle regioni del Sud, così come dimostrano le indagini demoscopiche. Però ora il sistema sanitario nazionale è in crisi. E con il federalismo oggi abbiamo una costellazione di servizi sanitari con frammentazione dei centri di spesa e anche differenze di omogeneità nel servizio”.
Ma meno risorse vuol dire meno servizi? Cosa ci aspetta?
“Ci sono differenze. Alcune regioni (commissariate) sono in gravissima inefficienza con costi estremamente elevati e comunque privi di qualità dell’assistenza. Altre (Lazio, Mosile, Basilicata) sono in sofferenza, ma si stanno attrezzando. Quindi nel centro nord ci sono regioni a pareggio, certo facendo interventi che hanno gravato sui costi, anche con la riduzione del personale (dal 2006 al 2011 rispetto al 2004 in ottemperanza alle leggi finanziarie si è ridotto del 11%). Oggi c’è una penuria di risorse nel nostro servizio sanitario che non ha precedenti per i minori trasferimenti dal Fondo Sanitario nazionale. Si è sotto scacco e si rischia il collasso”.
Che fare quindi?
“Occorre ridurre i costi di produzione. E sul piatto ci sono soluzioni che possono anche essere discusse. Una soluzione è l’inserire nella sanità elementi integrativi al finanziamento pubblico. Ad esempio trovare una copertura finanziaria per la copertura dei costi per l’assistenza ai non autosufficienti (alcune Regioni stanno già provvedendo). Agevolazioni fiscali per favorire forme di assicurazione integrativa (fondi aziendali, casse di mutuo soccorso….). Aumentare il numero delle prestazioni non più coperte da livelli essenziali di assistenza. Ma anche… introdurre ticket alberghieri di ricovero (a volte tornano idee già obsolete…). Aumentare i ticket (come è già avvenuto). Chiusura dei servizi non in grado di garantire sicurezza (clinical competence) perché troppo piccoli… Ulteriori riorganizzazioni col coinvolgimento del personale, sia chiaro se si unificano i servizi è evidente che il numero dei dirigenti va rivisto . Una ulteriore soluzione è quella di recuperare risorse con risparmi: la riorganizzazione delle reti interaziendali sia nel macro che nel medio con sensibili risparmi anche con l’innovazione tecnologica”.
Chi monitora tutto questo?
“C’è la necessità di un sistema informativo che monitori efficacemente il costo dei servizi su base nazionale e misuri il livello qualitativo del servizio. Ma questo a livello nazionale non c’è, ma solo in alcune aziende. In questo modo è possibile definire dei veri costi medi di produzione pro-capite pesati per scoprire chi spende meglio e chi peggio per ridurre così le diseguaglianze”.
E dinnanzi all’invecchiamento della popolazione?
“Purtroppo aumentano, al pari dell’età, le criticità. E se la nostra regione è seconda sola alla Liguria per anzianità, può essere un laboratorio se saprà innovare. Con la consapevolezza che se si lavora sulle famiglie l’anziano può essere assistito al domicilio. Poi c’è il tema delle risorse vive non istituzionali e le oltre 30 mila organizzazioni di volontariato presenti in Italia”.
IL CASO DI REGGIO EMILIA La soluzione reggiana passa per l’area vasta
E tra le nuove esigenze l’assessore Sassi ricorda la necessità di una lettura “sociale” dei bisogni “sanitari”
Una tavola rotonda aperta al pubblico si è tenuta nella seconda parte della giornata di riflessione della Cisl e della Fnp sul tema della sanità. Nel caso reggiano come andare avanti in un’area vasta e come riprogettarsi? E’ quanto ha introdotto Maurizia Martinelli segretaria regionale Cisl con delega alle politiche socio-sanitarie nel dare la parola a Fausto Nicolini, direttore generale dell’azienda Usl di Reggio Emilia.
“La situazione è più critica degli anni precedenti – ha ricordato Nicolini –. C’è un problema di risorse: minori trasferimenti a fronte di un aumento dei costi del 4% circa. L’area vasta è un percorso nel quale è possibile effettuare economie di scala. Oltre al magazzino farmaceutico, che costituisce già di per sé una forte razionalizzazione ed economicità, si potrebbe valutare l’ipotesi, ad esempio, di unire in ambito di area vasta il Pronto soccorso (in California ce ne è uno e serve 50 milioni di abitanti), l’importante è che la qualità del servizio sia garantita. L’altra sfida su cui cimentarsi è quella della prevenzione, che di fatto permetterebbe di raggiungere non solo l’obiettivo di maggiori risparmi nella cura delle malattie, ma anche quello, primario, di una maggiore qualità della vita dei cittadini. Un esempio dell’efficacia di una buona prevenzione è quello relativo allo screening colon-retto: ha comportato sì un impegno di risorse iniziale, ma ha portato, in tempi più brevi del previsto, un risparmio in termini economici per gli interventi chirurgici non effettuati sui tumori prevenuti, ma, soprattutto, abbiamo abbattuto la mortalità. Il tutto in termini più brevi di quanto pensassimo. Il vero passaggio da fare è quello di assumere il punto di vista del paziente e non solo quello del professionista sanitario”.
“E’ importante – ha proseguito il direttore – affermare che anche la sanità è un aspetto ‘politico’ della vita di un Paese: non è solo un insieme di servizi e prestazioni. Proprio per questo è necessario un approccio che tenga insieme prevenzione sanitaria e prevenzione sociale: alcuni dati come quelli relativi all’abuso di sostanze stupefacenti o alcol o al gioco d’azzardo, l’aumento di gravidanze tra minorenni, l’aumento degli accessi ai servizi psichiatrici…. indicano una realtà sociale che ha bisogno di essere ascoltata. Essa esprime bisogni in ambito sanitario ma che hanno la propria origine nel disagio sociale. Queste riflessioni competono indubbiamente alla politica. La diminuzione di risorse richiede poi l’assunzione di una responsabilità da parte di tutti gli attori del territorio, istituzionali e sociali”.