Dalla folla di vecchi amici e fans che lo aspettava caparbiamente davanti al Palazzo comunale, si alza un richiamo, quello delle origini: “Zucchero, vieni qua! Ma ti ricordi di me? Mi spingevi sul ‘calcinculo’ a Roncocesi quando avevo nove anni!”, esclama quella bambina oggi signora matura ed entusiasta.
E scoccano i sorrisi, si stringono gli abbracci, spunta qualche lacrimuccia. Detto che si trattava della giostra dei seggiolini volanti – calcinculo alla reggiana, perché l’energia rotazionale può portare i tuoi piedi contro il sedere di chi hai davanti con l’effetto di una ulteriore spinta esilarante – questa scena, ripetuta in forme e modi diversi ma simili decine di volte di qua e di là dalle transenne di piazza Prampolini, rende la gioia di ritrovarsi, l’affetto schietto e sereno di un incontro magari atteso da sempre, il refrain della visita di Adelmo Zucchero Fornaciari a casa sua, cioè a Reggio Emilia, dove stasera, tra la sua gente, ha ricevuto dal sindaco Luca Vecchi e dal presidente del Consiglio comunale Matteo Iori la Cittadinanza onoraria della città emiliana, come deliberato il 16 ottobre scorso dal Consiglio comunale all’unanimità.
Qualche minuto dopo, nella Sala del Tricolore, l’artista – nato e cresciuto a Roncocesi, frazione a nord di Reggio Emilia, il 25 settembre 1955 – entrerà in scena con giubbotto di pelle giallo e jeans sormontati da un immancabile cappello di feltro a tesa larga e occhialoni da sole, e qui dirà: “Sono visibilmente emozionato, credetemi: è molto più che essere sul palcoscenico”. E conclude giocando con le parole: “Sono onorato di ricevere questa Cittadinanza onoraria. Non mi sarei mai aspettato un onore così grande”.
In mezzo, un fiume in piena di ricordi, aspirazioni di una persona come tante divenuta un grande musicista e aneddoti venati di umorismo e intensa nostalgia: “Vedete, la realtà è che invecchio e mentre il tempo passa le mie radici diventano sempre più grandi e profonde. Sono uno sradicato, dato che dovetti emigrare da Roncocesi da ragazzo, perché in famiglia si mangiava riso tutti i giorni e c’era bisogno di lavoro. Sono uno sradicato e proprio per questo le mie radici sono più grandi e profonde, e affondano in questa città. Sempre in giro, sempre altrove, mi sento a casa mia soltanto quando mi trovo qua, perché sono figlio e parte viva di questa terra. A Reggio vengo appena posso, mangio come oggi pane e mortadella e penso, anche adesso, che mi piacerebbe morire qui, nella chiesa che c’è qui fuori (la Cattedrale, ndr)”.
Oscilla tra presente e passato: “Tutto parte dal luna park e dal suo calcinculo che, col cinema ogni tanto e il Bif, il ghiacciolo per chi non è reggiano, erano le uniche, indimenticabili attrazioni di Roncocesi. Ma soprattutto, tutto parte dalla chiesa del patrono della frazione, San Biagio, dove cominciai a suonare, da solo. Non avevo soldi per gli studi e nemmeno per comprare una ‘pianola’ si diceva allora, e così il parroco mi metteva a disposizione l’organo della chiesa, fino a quando non potei permettermi una pianola in affitto da Del Rio. Sarò sempre riconoscente al parroco, che ricambiavo in quegli anni facendo il chierichetto, ovviamente gratis. Non smettevo di suonare, in famiglia sapevano dov’ero e mandavano a chiamarmi: ‘Val a ciamer, cl’è ora!”.
Poi, la scoperta del genere musicale più affine, ispiratore della sua arte futura: “In quegli anni, mi capitò di ascoltare musica blues. Era una cosa un po’ elitaria all’epoca, rispetto alla musica italiana che andava per la maggiore. Ascoltai quelle melodie, malinconiche e che scaldavano il cuore, e mi dissi: questa musica è la mia”.
L’eredità umana e valoriale: “Cosa ho imparato, cosa mi sono portato dietro dalla Roncocesi di quegli anni? Lo stile di vita. Tradotto: quando qualcuno ‘se la tira’, occhio, perché può essere che dietro ci sia poco. Mi hanno insegnato: vola basso e schiva i sassi. Ho imparato il rispetto degli altri, per le idee e le ideologie di tutti. In casa mia e nel paese, guai se volava una bestemmia. Gentilezza ed educazione erano punti fermi, tanto che quando andai via, in altri posti mi prendevano in giro per il mio modo di fare garbato. Poi i Fratelli Cervi, le visite al Museo, colpito da quella storia così inumana, così ingiusta. Nel ricordo dei Fratelli Cervi, sono venuto su con l’odio, con la ripulsa per il fascismo”.
E la Bandiera: “Questa Sala del Tricolore in cui ci troviamo è così importante, leggendaria per Reggio e per l’Italia. Ne avevo conoscenza fin da bambino, quando i miei nonni mi dicevano: la bandera l’è neda a Res! E allora, ancor di più, grazie sindaco, grazie al Consiglio comunale e alla gente di Roncocesi per poter essere qui e ricevere oggi questo grande onore, che ancor più ci lega”.
Prima di donare la pergamena che attesta la Cittadinanza onoraria con la motivazione “per l’alto contributo offerto alla musica italiana, per il profondo legame con il territorio reggiano che risuona in molti testi delle sue canzoni, toccando le vette di un indiscusso successo nazionale e internazionale”, il sindaco Luca Vecchi aveva accolto Zucchero dicendo che “da Reggio Emilia le sue canzoni, in cui canta la sua terra, si sono diffuse in tutto il mondo e questo ne fa un grande ambasciatore della nostra città.
“Prima del Covid – ha proseguito il sindaco – Zucchero mi aveva parlato del suo desiderio di realizzare qui un concerto ispirato alle sue radici, ma voleva farlo, segno di rispetto e attenzione per il pubblico, in un luogo in cui ci fossero posti a sedere per tutti. Fatta l’Area Campovolo, quella richiesta ha avuto la possibilità di avere una risposta che lui ha colto, regalandoci quei bellissimi concerti. E dobbiamo a Zucchero, al titolo della sua celebre canzone, la scritta ‘Partigiano Reggiano’ su Casa Manfredi, leggibile da milioni di persone che percorrono l’Autosole. Sono continui e sempre attuali, come vediamo, l’interesse e le occasioni di incontro tra Zucchero e la sua Reggio Emilia.
“La Cittadinanza onoraria che conferiamo a questo nostro artista – ha proseguito il sindaco – ha una spinta dal basso, dai cittadini di Roncocesi che l’hanno fortemente voluta e proposta, segno evidente del rapporto forte che da sempre Zucchero ha con la sua città, un rapporto fatto di amicizia, amore, solidarietà, senso delle proprie origini. Ripercorrendo la biografia di Zucchero, si legge chiaramente il tratto antropologico del migrante, della persona che ha dovuto lasciare il proprio luogo natale e di vita per un altrove, e proprio per questo le radici e la comunità d’origine sono così presenti. Soprattutto se la comunità è forte come quella di Roncocesi. Possiamo dire che la storia di Zucchero è la metafora della storia della nostra città, fatta di una lavoro duro per crescere, per conquistare autonomia, tipico di persone ‘semplici’, di grande civiltà e qualità. La Sala del Tricolore, in cui conferiamo la Cittadinanza onoraria a Zucchero e che ha visto scrivere una pagina importante del nostro Paese ed è la principale Sala civica, la Casa della città, rappresenta anche questi valori, questo stile di vita.
“Con un grande abbraccio, conferiamo questo alto riconoscimento a un figlio della nostra terra – ha concluso il sindaco – dicendo con le parole della sua nonna: ‘Delmo vin a’ ca’!’”.
Sottolineata l’unanimità dell’Aula nell’approvazione della Cittadinanza onoraria, il presidente del Consiglio comunale Matteo Iori ha detto che “Zucchero è da sempre, anche all’apice della sua carriera internazionale, riconosciuto da tutti di Reggio Emilia” e ha ricordato un altro tratto distintivo e forse meno noto dell’artista: “La sua attenzione costante al sociale, a chi ha bisogno, una sensibilità molto forte che ha messo in pratica senza troppa visibilità”.
“La tua fortuna – ha concluso Iori rivolgendosi al cantautore – è legata per molteplici versi alla nostra terra e tu hai ricambiato questa terra con la tua arte: sta qui il senso più chiaro della Cittadinanza onoraria che tributiamo. Un legame rappresentato simbolicamente dal soprannome Zucchero, che ti diede, per il tuo modo di essere, la maestra che avevi, a Roncocesi”.