Oltre la metà delle microimprese italiane è intenzionata ad assumere personale nei prossimi sei mesi. Ma la crescita dell’occupazione è fortemente frenata dalle difficoltà, in molti casi dalla impossibilità, incontrate per reperire le figure professionali necessarie all’attività aziendale. A rilevarlo un’indagine condotta dalla CNA su un campione di oltre 2mila tra artigiani, micro e piccole imprese, (circa 150 quelle modenesi che hanno partecipato all’indagine), composto per più del 90% da imprese con meno di dieci addetti.
Oltre la metà – il 55,1% – delle imprese intervistate vorrebbe realizzare assunzioni entro gennaio 2022. Di queste il 52,7% ipotizza nel periodo in esame un’assunzione, ma una su tre propende per due e l’8,2% per tre.
Assunzioni, si badi bene, che non sono destinate a fare fronte a un aumento transitorio della domanda. Quasi due nuovi lavoratori su tre, infatti, sarebbero reclutati mediante contratti stabili.
Poco più di un’impresa su quattro punta sul tempo determinato, che è comunque contratto di qualità e rappresenta la formula giuridica ideale a soddisfare la flessibilità richiesta alle imprese più piccole. Marginale risulta invece il ricorso alle collaborazioni professionali (4,1%) e al lavoro occasionale (3,8%).
La volontà delle imprese – e in particolare delle imprese artigiane, micro e piccole – di ampliare gli organici anche in funzione delle nuove necessità richieste dal mercato nel dopo pandemia rischia però di essere frustrata dalle difficoltà, spesso insormontabili, nel trovare le figure professionali di cui hanno bisogno.
Solo il 12,9% delle imprese che stanno assumendo, o vorrebbero farlo, prevede di non avere problemi a selezionare candidati, dotati delle competenze richieste, disposti ad accettare l’offerta. La stragrande maggioranza del campione, all’opposto, denuncia difficoltà. Il 79,9% delle imprese, infatti, non riesce a trovare candidati idonei alle mansioni richieste. E il rimanente 7,2% si imbatte in candidati insoddisfatti delle offerte economiche avanzate dalle imprese.
Sotto questo aspetto, dall’indagine della CNA emerge un quadro inquietante anche se non nuovo: il nostro Paese non ha un sistema in grado di coniugare domanda e offerta di lavoro. Non a caso, due imprese su cinque affermano di cercare il personale prevalentemente tramite il cosiddetto passaparola. Si ferma invece alla metà, per la precisione al 21,5%, la percentuale delle aziende che si rivolgono alle agenzie interinali e di ricerca/selezione del personale%. Il 16,6% del campione si indirizza a scuole e/o a istituti di formazione. L’11% si affida ai mezzi di comunicazione specializzati.
Appena il 3,8% ricorre ai centri per l’impiego, prevalentemente per il collocamento mirato (disabili), una dimostrazione di come il canale pubblico riesca solo molto limitatamente a favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.
L’annunciata riforma delle politiche attive del lavoro non potrà esimersi dall’affrontare la questione della riorganizzazione delle strutture dedicate al collocamento né dall’adattare i percorsi formativi alle esigenze del mondo produttivo. Un obiettivo indispensabile per consentire all’Italia di agganciare i nuovi driver dello sviluppo che richiedono competenze adeguate.
Da questo punto di vista un ruolo primario dovrebbe essere riservato alle APL – le Aziende per il Lavoro private – che già in occasione di iniziative come la Garanzia Giovani hanno dimostrato, anche in collaborazione con i Centri con l’Impiego, di facilitare l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro, in modo particolare per le fasce deboli (per età, curriculum di studi, condizioni socioeconomiche).