Una delle grandi sfide del nuovo Pug – Piano urbanistico generale di Reggio Emilia (attualmente in via di definizione) è rappresentata dalla valorizzazione dei beni comuni, ovvero quelle infrastrutture e servizi pubblici che concorrono a innalzare il livello di qualità della vita: la salute pubblica, gli spazi comuni, le reti, ma anche i tanti servizi territoriali da quelli culturali, ai trasporti, alla gestione dei rifiuti.
Il nuovo strumento urbanistico, che contribuisce a definire il futuro della città dei prossimi anni, si pone l’obiettivo di offrire risposte, in maniera integrata con i piani e servizi di settore, ai bisogni mutevoli di una comunità in continua trasformazione. Se, infatti, cambia il modello di città, orientato ora verso la rigenerazione, altrettanto si può dire della sua popolazione che non cresce più da ormai dieci anni e vede ridursi di quasi il 5% la popolazione straniera e contemporaneamente invecchia (+10% della popolazione over 80 e -20% quella under 6), mentre le famiglie monopersonali sono oggi il 36%.
PIANO DI COMUNITA’ – Per rispondere a questa sfida, il Pug attribuisce un ruolo centrale a uno specifico strumento che contribuisce alla lettura e pianificazione della realtà sociale del nostro territorio: il Piano di comunità, esito degli anni di lavoro dei Laboratori di quartiere, dei poli sociali e delle attività associative. Il Piano di comunità costituisce un’evoluzione naturale del precedente Piano dei servizi, ed è stato elaborato a partire non solo dalla individuazione dei servizi sul territorio, ma anche dai bisogni rilevanti delle persone, dai legami sociali, dalle povertà e ricchezze emergenti.
Con il Piano di comunità si supera il concetto di ‘standard quantitativo’, per valutare invece prioritariamente ciò che serve al territorio a partire da ciò che è già presente. La città è infatti caratterizzata da un grande patrimonio di dotazioni territoriali acquisite nel corso degli anni (corrispondenti a 61 metri quadrati per abitante di spazi e attrezzature pubbliche, a fronte di una dotazione minima prevista dalla Regione di 30 metri quadrati per abitante) anche se, talvolta, presentano evidenti limiti in termini di funzionalità e qualità del servizio offerto.
Nel progettare la città pubblica il Pug ha dunque tenuto conto delle seguenti necessità: qualificare e rifunzionalizzare le dotazioni esistenti garantendone un maggior utilizzo e miglior gestione anche attraverso il coinvolgimento della diffusa rete di comunità collaborative presenti sul territorio; promuovere nuovi modelli assistenziali con l’obiettivo di avvicinare la cura al territorio attraverso politiche di domiciliarità dei servizi ed una maggiore diffusione delle Case della comunità sostenute anche dal PNRR; qualificare come vere e proprie dotazioni territoriali i servizi privati convenzionati a supporto della città pubblica.
L’elaborazione del Pug ha inoltre comportato: il recepimento delle scelte introdotte con il Piano dello sport che pianifica l’offerta di dotazioni sportive per i prossimi anni; l’introduzione di specifici indirizzi, deroghe e incentivi edilizi per la riqualificazione di spazi pubblici e privati inclusivi, sulla base del progetto ‘Città senza barriere’ ed in accordo con gli ordini professionali ed il Criba, finalizzati al miglioramento dell’accessibilità degli edifici esistenti per persone con fragilità ed over 65.
Infine, una priorità, è rappresentata dall’incentivo al completamento, entro tre anni dalla approvazione del Pug, delle opere di urbanizzazione dei Piani ancora attivi o scaduti: oltre il 44% dei Piani approvati dopo il 2001 presenta, infatti, opere di urbanizzazione non ancora completate.
Il Piano si pone questi obiettivi partendo dal riconoscimento delle tante centralità presenti: le frazioni, per le quali si prevede di potenziare la città dei 15 minuti e garantire una quota di edilizia convenzionata per favorire la continuità dei nuclei famigliari già presenti; i quartieri con valore urbanistico e identitario forte, da salvaguardare nel loro disegno di impianto originale senza precluderne l’ammodernamento tecnologico; ambiti che necessitano di ambiziosi progetti urbani di rigenerazione, come la zona stazione e Ospizio, Santa Croce, la via Emilia, l’ex sede del Consorzio agrario provinciale, l’ex Giglio e Conchiglia, la zona del Mirabello e via Melato. A questi ambiti, più estesi, se ne aggiungono altri di dimensioni inferiori, ma non meno urgenti, per i quali viene incentivata, dal punto di vista edilizio, la rifunzionalizzazione, ad esempio: Ca’ Paterlini, via Gorizia, via Monte Ventasso, ecc.
DIRITTO DELL’ABITARE – Fra i beni comuni, il diritto dell’abitare, è una delle principali sfide per garantire un futuro solidale e inclusivo: a parità di reddito, infatti, le spese abitative giocano un ruolo fondamentale nel limitare o favorire i processi di impoverimento.
Negli ultimi dieci anni è incrementata fortemente la tensione ed emergenza abitativa a causa di condizioni di precarietà lavorativa, dell’incremento della popolazione in condizione di povertà relativa, della crescita dei nuclei familiari monopersonali.
Contemporaneamente, se il patrimonio di edilizia residenziale pubblica è stato oggetto di rilevanti investimenti finalizzati alla riqualificazione urbana ed energetica, la contrazione dei contributi statali, non ha consentito di aumentarne la dotazione delegando tale domanda al mercato dell’abitare privato, senza tuttavia riuscirci, visto il sostanzioso aumento delle famiglie in graduatoria per l’assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica.
Il Piano, al fine di invertire questa tendenza, introduce nuove strategie finalizzate a: sviluppare un’importante fase di investimenti pubblici per la rigenerazione dei quartieri popolari e l’incremento dell’offerta di edilizia residenziale popolare che caratterizzerà profondamente i prossimi 10 anni; dare risposta a una nuova domanda abitativa attraverso l’introduzione di normative edilizie incentivanti e flessibili, collegate alle principali modifiche demografiche (anziani autosufficienti, studenti universitari).
Il Piano introduce inoltre una nuova definizione economica e tecnica di Edilizia residenziale sociale (Ers) più coerente con gli obiettivi di risposta all’attuale fabbisogno abitativo, in particolar modo di alloggi in locazione. L’Ers viene infatti caratterizzato da una quota minima del 30% di unità immobiliari in affitto e massima del 20% di vendita convenzionata e dovrà essere realizzata contestualmente all’intervento privato o ceduta l’area all’Amministrazione comunale per la realizzazione di politiche pubbliche di social housing. L’obiettivo è definire una quota minima di Ers in tutte le grandi riqualificazioni della città, non inferiore, rispettivamente, al 20% e 30% della superficie destinata a edilizia privata nel caso di interventi di rigenerazione urbana o di trasformazione delle aree permeabili.