Grande preoccupazione e forte sostegno alla Magistratura per gli esiti della importantissima indagine di ‘ndrangheta (operazione Grimilde) che, in queste ore, ha portato a 16 arresti, a 72 persone indagate, a cento perquisizioni ed al sequestro di beni e aziende per diversi milioni di euro, nelle province di Bologna, Modena, Reggio Emilia, Parma, Piacenza, oltre a diramazioni delle indagini in Lombardia, Calabria, Puglia, Lazio e Veneto.
E’ evidente che siamo di fronte ad un quadro in assoluta continuità con la prima indagine Aemilia. Le tipologie dei reati di mafia (estorsioni, usura, riciclaggio, truffa aggravata, intermediazione di manodopera, intestazione fittizia di beni ed altro ancora), le caratteristiche di penetrazione in pezzi consistenti dell’economia, le forme di sfruttamento del lavoro, rappresentano tutti elementi che avevamo visto e ben conosciuto nel maxi processo contro la ‘ndrangheta che si è celebrato in questa regione, prima a Bologna e poi a Reggio Emilia.
Non siamo quindi stupiti ma siamo preoccupati del fatto che questi reati sono stati messi in atto mentre era in corso il processo Aemilia e considerato anche che alcuni dei personaggi oggetto delle misure cautelari erano controllati dalle forze dell’ordine, a partire dagli esponenti della famiglia Grande Aracri.
Avevamo chiaro da tempo che non sarebbero bastati i pur importanti esiti del più grande processo alla ‘ndrangheta che si sia mai svolto in Italia, per determinare la conclusione di queste vicende. Lo avevamo capito durante il processo, anche a fronte di inquietanti dichiarazioni di alcuni pentiti. Lo avevamo denunciato noi stessi, in occasione della recente audizione della Commissione Parlamentare Antimafia, descrivendo un quadro dell’azione messa in atto dalle mafie, da est a ovest della nostra regione, assolutamente preoccupante ed attuale.
Per questo consideriamo non utili le dichiarazioni di esponenti del Governo, a seguito della nuova indagine di ‘ndrangheta in Emilia Romagna. Ancora una volta infatti emerge, con nettezza, il fatto che l’allentamento del sistema delle regole, nell’economia, nel lavoro, nella regolazione degli appalti, rappresentano il terreno fertile per la penetrazione della criminalità organizzata nell’economia legale, favorita da una competizione giocata sui costi e non sulla qualità del lavoro. Abbassare la guardia rispetto al sistema di controlli sugli appalti significa spalancare la strada alle mafie ed all’ulteriore sviluppo dei fenomeni corruttivi.
Anche per queste ragioni – lo abbiamo detto anche a Reggio Calabria in occasione della grande manifestazione di sabato scorso indetta da CGIL CISL UIL – consideriamo pericolosi i provvedimenti contenuti nel cosiddetto decreto “sblocca cantieri”.
Nello stesso tempo, quanto emerge anche dalla indagine odierna della Magistratura, ci rafforza nella convinzione che sia necessario agire su scala locale dando continuità e consolidando gli strumenti di prevenzione a presidio della legalità e a salvaguardia dei diritti dei lavoratori contenuti nel Il Testo Unico per la promozione della legalità e la valorizzazione della cittadinanza e dell’economia responsabili (la l.r. 28 ottobre 2016, n. 18), frutto del Patto per il Lavoro, e nei diversi protocolli sottoscritti con gli Enti Locali e le società partecipate.
(Segreterie CGIL CISL UIL Emilia Romagna)