Quando l’aceto balsamico di Modena era solo un “affare di famiglia”, lui e altri tre imprenditori riuscirono a trasformare l’oro nero della food valley emiliana in un’eccellenza del made in Italy. Domani, Giovedì 2 maggio spegne 90 candeline Adriano Grosoli, titolare dell’Aceto Balsamico del Duca e l’ultimo rimasto in vita del quartetto di imprenditori che negli anni Sessanta guidò il passaggio dell’aceto balsamico dalle cantine domestiche al mondo dell’industria, portandone il nome sui mercati esteri attraverso fiere in Europa e negli Stati Uniti, con intraprendenza e spirito pionieristico.
Al di là delle produzioni familiari destinate a un consumo casalingo, fino alla metà degli anni Ottanta l’intera produzione del balsamico era infatti appannaggio di pochissmi: insieme ad Adriano Grosoli c’erano Giorgio Fini, Elio Federzoni e Giuseppe Giusti. Dalla cittadina di Spilamberto, alle porte di Modena, il titolare dell’Aceto del Duca oggi guida l’azienda di famiglia insieme alle figlie Alessandra e Mariangela, con quest’ultima che è anche presidente del consorzio di tutela dell’IGP.
La sua è una storia di imprenditoria d’altri tempi: classe ’29, Adriano Grosoli viene chiamato a causa della guerra a occuparsi dell’attività di famiglia, iniziata nel 1891 dal nonno Adriano e insignita della medaglia d’oro all’Expo di Genova nel 1927, che comprendeva principalmente la lavorazione del maiale, la gestione della trattoria a San Donnino (Modena) e della bottega di prodotti tipici modenesi, in primis il balsamico. È su questo prodotto – fino a quel momento legato a una dimensione esclusivamente familiare – che decide di puntare, in concomitanza con l’apertura dei primi supermercati nazionali.
Nel 1965, in occasione del riassetto normativo del settore aceti, è tra i promotori della richiesta di riconoscimento e regolamentazione del prodotto: avvia le procedure per ottenere la licenza ministeriale per la produzione di Aceto Balsamico di Modena e inizi che otterrà nel 1974, poi nel 1993 è tra i fondatori del consorzio. E mentre promuove l’oro nero anche all’estero, con frequenti trasferte oltreoceano, esporta il suo amore per la città e la sua storia (finanziando il restauro del dipinto di Velazquez raffigurante Francesco I d’Este), la passione anche per le altre specialità modenesi e lo stile di vita emiliano.