L’Azienda Ospedaliero – Universitaria di Modena e UNIMORE in prima linea nella lotta al tumore della sierosa peritoneale, una grave patologia che colpisce il peritoneo, cioè la membrana che racchiude gli organi e visceri addominali e che ha diverse origini e che colpisce in Italia circa 25.000 persone ogni anno con una prognosi largamente infausta.
L’equipe della prof.ssa Roberta Gelmini, della Chirurgia 1 del Policlinico ha effettuato nei giorni scorsi il primo intervento di cito-riduzione chirurgica associata a chemio-ipertermia intraperitoneale (HIPEC) su una paziente di 69 anni. L’intervento, durato circa 10 ore, è riuscito e ora la paziente è andata a casa dove potrà cominciare la terapia chemioterapica prevista dai protocolli oncologici.
L’intervento è il primo dei circa 30 interventi che costituiranno lo studio “P-HIPEC Fattibilità della cito-riduzione associata ad HIPEC nei pazienti con carcinosi peritoneale” approvato dall’AIFA e dal Comitato Etico e finanziato da alcuni importanti soggetti imprenditoriali della nostra Provincia (Chef Express, BPER) e alcuni privati (famiglia Orlandi e famiglia Albertini-Schiavi).
“La carcinosi peritoneale (PC) – spiega la prof.ssa Roberta Gelmini – colpisce il peritoneo, cioè la membrana che ricopre e racchiude i visceri e gli organi dell’addome. Si tratta di una membrana sottile la cui rimozione è chirurgicamente molto complessa perché essa è collegata agli organi che avvolge. Una ventina di anni fa è stato sviluppato un trattamento loco-regionale in grado di curare la carcinosi peritoneale qualora possibile, oppure almeno di ridurne l’entità e rallentarne la crescita quando la sua eradicazione completa risulti impossibile, vista la particolarità del sito colpito dalla carcinosi. Questo trattamento si basa sulla combinazione tra due azioni. Si comincia con l’intervento demolitivo che mira a rimuovere il, pertitoneo e tutta la malattia visibile ad occhio nudo. Terminato l’intervento, sempre in sala operatoria, il paziente viene trattato con la chemio-ipertermia intraperitoneale (HIPEC).”. Semplificando, si può dire che l’intervento chirurgico agisce sulla malattia macroscopica, mentre l’HIPEC è utilizzata per il trattamento del residuo microscopico di malattia con l’intento di trattare il paziente in un’unica procedura.
“Non tutti i pazienti affetti da carcinosi peritoneale sono trattabili con citoriduzione ed HIPEC; è una procedura lunga e complessa, non scevra da complicanze intra e post-operatorie (fino al 30%) e gravata da una mortalità peri-operatoria del 3-4%. Per essere sottoposti al trattamento i Pazienti devono quindi essere attentamente valutati da una equipe multidisciplinare (chirurghi, oncologi, radiologi, cardiologi ed anestesisti) che ne attesti l’elegibilità”
L’intervento è stato svolto al Blocco Operatorio del 2° piano del Policlinico dall’equipe composta da chirurghi della Chirurgia 1 (Roberta Gelmini, Nicola Cautero e Francesca Cabry) coadiuvati dai medici specializzandi della Scuola di Chirurgia Generale, e dal personale infermieristico di sala operatoria dedicato: Teresa Rauseo, Giuliana Tarabelloni, Claudia Ghita, Eleonora Cannella, Enrico Montanari, Roberto Casciaro, Matteo Gattuso, Giuliana Leonelli, Mario Di Stefano, Valentina Roncaglia e dall’equipe anestesiologica ed infermieristica della Struttura Complessa di Anestesia e Rianimazione 1 (direttore Prof Massimo Girardis) che gestisce questi pazienti nelle fasi intraoperatorie e nell’immediato periodo post-operatorio in Terapia Intensiva.
“Dal punto di vista anestesiologico– spiegano il prof. Massimo Girardis e la dottoressa Elisa Barbieri che ha gestito la fase intraoperatoria– questi interventi richiedono specifiche attenzioni sia per la lunghezza e complessità della fase chirurgica sia per la gestione della risposta del paziente al trattamento con HIPAC. Per questa ragione, nella fase intraoperatoria e nelle prime fasi post-operatorie, oltre alla gestione dell’anestesia e del dolore post-operatorio, vengono scrupolosamente monitorizzate tutte le funzioni d’organo al fine di trattare tempestivamente gli eventuali squilibri che si possono creare”.
“Si tratta di una nuova possibilità per pazienti che, sino ad oggi non ne avevano – commenta il prof. Stefano Cascinu, Direttore dell’Oncologia – perché affetti da una patologia gravissima. È molto importante, quindi, per l’Oncologia del Policlinico poter partecipare a questa sperimentazione, selezionando i pazienti idonei a sottoporsi all’intervento e seguendoli durante la terapia”.
La carcinosi peritoneale
La carcinosi peritoneale è la diffusione del tumore dall’organo di origine al peritoneo, la membrana sierosa che riveste internamente la cavità addominale. Gli organi coinvolti da un tumore primitivo in grado di sviluppare carcinosi peritoneale sono, in ordine decrescente di incidenza, il colon-retto, lo stomaco e l’ovaio. Meno frequentemente la presenza di una carcinosi peritoneale è correlata ad altre neoplasie intra-addominali, quali quelle ad origine dall’utero, dal pancreas, dalle vie urinarie e dalle vie biliari. La carcinosi peritoneale può rappresentare anche l’evoluzione di alcuni rari tumori primitivi che originano dal peritoneo. Eccezionali sono, infine, le carcinosi peritoneali derivanti da neoplasie extra-addominali (mammella, polmone, metastasi peritoneali da melanoma).
Se non trattata, la prognosi di questa condizione è davvero molto sfavorevole, portando al decesso i pazienti in pochi mesi generalmente per l’insorgenza di quadri occlusivi intestinali, diretta conseguenza della crescita di noduli carcinomatosi a carico del peritoneo viscerale e dei mesi.
Ogni anno in Italia si stimano, circa 25.000 casi di carcinosi peritoneale con un tasso di mortalità a 5 anni dell’80% circa
Un cenno a parte meritano quelle neoplasie che originano direttamente dal peritoneo, quali i mesoteliomi ed i carcinomi primitivi del peritoneo. Queste forme neoplastiche rappresentano nel complesso una patologia rara, con un’incidenza in Italia variabile da 0,1 a 6,4 casi /100.000 abitanti/anno; nei prossimi 20 anni, secondo il Registro Tumori Italiano, si prevede una tendenza all’aumento fino a valori di circa 1.000 nuovi casi l’anno.
Obiettivi dello Studio
Lo studio dell’Azienda Ospedaliero – Universitaria di Modena mira a valutare gli effetti di questa metodica sia dal punto di vista terapeutico che da quello delle complicanze.
Sono inclusi in questo studio tutti i pazienti affetti da carcinosi peritoneale di origine gastrica, colica, ovarica da mesotelioma e pseudomixoma peritonei di età compresa tra i 18 e i 75 anni ma senza diffusione extraperitoneale della malattia ed in condizioni generali in grado di affrontare la procedura di citoriduzione ed HIPEC.
Lo studio durerà 2 anni e si considererà concluso una volta effettuate almeno 30 interventi. Considereremo concluso positivamente lo studio se potremo ottenere l’80% di riduzione ottimale della malattia, in presenza di complicanze postoperatorie gravi inferiori al 30% e di una mortalità perioperatoria inferiore al 3.9%.
“Sembrano numeri molto elevati – ha concluso la prof. Gelmini – che però vanno associati alla difficoltà elevata di questo intervento e alla gravità della patologia trattata che, senza l’intervento ha una mortalità superiore al 90%. Se i risultati dello studio saranno quelli attesi, faremo un ulteriore passo per inserire questa metodica tra quelle utilizzate in maniera routinaria dal Servizio Sanitario Nazionale per trattare questa patologia”.