Si è svolta questo pomeriggio la Commemorazione della Battaglia di Palazzo Ducale a Sassuolo in occasione del suo 74° Anniversario. Una ricorrenza dedicata al generale Ferrero, sulla cui lapide il Sindaco ha posato una corona, in memoria dalla battaglia che, dopo l’otto settembre 1943, vide proprio a Sassuolo e grazie al coraggio del generale dell’esercito Ugo Ferrero, a capo della guarnigione che era di stanza proprio nel palazzo che resistette eroicamente alla divisione tedesca, equipaggiata con armi pesanti, uno dei punti d’origine della resistenza al nazifascismo, nella intera provincia di Modena.
Presente questo pomeriggio a Palazzo Ducale l’Aiutante uff. in congedo Ennio Piccaluga, classe 1917 che ha vissuto in prima persona la battaglia del 1943 e che ha voluto rilasciare la testimonianza che riportiamo integralmente.
Mattina del 9 Settembre 1943
Alle 5 del mattino, all’interno del Palazzo Ducale, ci siamo svegliati al rumore delle raffiche delle armi da fuoco tedesche. Il palazzo era circondato dalle truppe corazzate nemiche(carri armati e cannoncini) che aprirono il fuoco per sondare la nostra reazione. Gli allievi dell’Accademia erano in licenza già da Agosto, quindi nel Palazzo c’era il Battaglione truppa (80 uomini circa)di cui graduati eravamo in 3, sottoufficiali, tra cui io, il sergente maggiore Ennio Piccaluga, il sergente Germano Rossini e il sergente Iacarelli. Nel palazzo alloggiavano il comandante Generale di Brigata Ugo Ferrero, un tenente medico e il capitano di cavalleria Ludovico Chianese. Alle prime raffiche io scesi in cortile;ho visto il Generale che mi è venuto incontro scendendo dal suo appartamento,Mi ordinò di suonare l’allarme per radunare la truppa,mi fece piazzare 2 mitragliatrici Breda all’ingresso, dove c’era il corpo di guardia . I Tedeschi continuavano a sparare, crivellando di colpi la facciata, da Piazza Garibaldi, “a tiro diretto”. Noi rispondemmo al fuoco con le Breda. Io aiutavo a caricare le mitragliatrici ; il fuoco è durato fino alle 10, fino all’esaurimento delle munizioni. Quando i Tedeschi si accorsero che non rispondevamo più al fuoco, si avvicinarono, strisciando, muro muro, fino al palazzo ed entrarono nel cortile. Il Comandante tedesco andò incontro al Generale Ferrero con cui parlò in tedesco. Il colloquio fu breve, ma l’intesa fu rapida; il generale era insegnante di lingua tedesca agli allievi dell’Accademia. Dopo il breve dialogo, il Generale si tolse la Pistola che consegnò all’ufficiale tedesco. Questi gli disse allora di tenere la pistola, di chiamare il suo autista e la macchina che arrivò in breve tempo nel cortile. A questo punto il gen Ferrero si avvicinò a me che ero al comando dei soldati, mi strinse la mano e mi ringraziò per tutto quello che avevo fatto. Poi salì sull’auto con un tedesco e la macchina partì. Io ordinai alla truppa di lasciare le armi ammucchiandole. Un ufficiale tedesco ordinò al cap Chianese di occuparsi dei feriti; tra i combattenti c’era, ferito mortalmente Malavasi. Noi fummo inquadrati, i sergenti maggiori in testa, e ci incamminammo a piedi formando una lunga colonna, senza sapere la destinazione, lungo la via polverosa che conduceva a Maranello, dove arrivammo verso le ore 14. Ci chiusero nella strada sbarrata vicino alla chiesa, dove aspettavamo un po’ di cibo e di conoscere la nostra sorte. Nel primo pomeriggio grazie all’aiuto di un civile di cui non ho mai saputo il nome, che arrivò vestito con la tuta da meccanico e di 3 4 donne che ci portarono frutta, io riuscii a fuggire con abiti civili fornitomi dal coraggioso civile. Passai davanti alle milizie schierate che non notarono i miei stivali d’ordinanza spingendo un carro da carbonaio. Mi fecero rifugiare nella rivendita di carbone all’ingresso della via Braida e poi fuggii in montagna.
Solo dopo la fine della guerra ho avuto le notizie della tragica sorte del mio generale.
Aiutante uff. in congedo Ennio Piccaluga classe 1917