Più di 7.200 imprese per la parte manifatturiera (5,5% delle imprese regionali), circa 52 mila addetti (il 5,1% degli addetti regionali), un export di 4,6 miliardi di euro (12,7% delle esportazioni nazionali). E se alla parte tipicamente industriale si aggiunge la componente terziaria legata alla filiera della moda – con quasi 23 mila imprese che impiegano circa 90 mila addetto – il fashion made in Emilia-Romagna raggiunge quasi 30 mila imprese e 142mila addetti.
Sono questi, in sintesi, i numeri del sistema moda in Emilia-Romagna, un tassello importante nell’economia regionale duramente colpito dalla crisi economica, emersi nel corso dei lavori del convegno “Emilia-Romagna Fashion. Quale politica industriale per il sistema moda” svoltosi oggi a Bologna in viale Aldo Moro dove tra l’altro, durante i lavori, sono stati presentati approfondimenti e scenari sul tessile, abbigliamento e calzaturiero: un confronto finalizzato a costruire nuove politiche industriali per valorizzare la filiera moda traducendole in processi di innovazione e ricadute concrete di sviluppo dei territori.
Il settore del fashion che ha registrato una fase di rallentamento dovuta in parte alla crisi economica globale in parte alla forte contrazione della domanda interna nonché ad un necessario riposizionamento delle imprese e ad una ristrutturazione generale che sta portando verso nuovi assetti organizzativi. Infatti dal 2003 al 2015 la produzione complessiva è calata del 41,9%, mentre con l’avvio della crisi, dal 2008 al 2015, il fashion ha perso complessivamente il 7,8% delle imprese e 10,4% degli addetti (sul versante produzione -14,8% le imprese e -18% gli addetti mentre per quanto riguarda la parte commerciale -4,4% le imprese e -0,2% gli addetti).
«Esistono diversi livelli su cui è necessario agire per rilanciare il sistema. Da un lato – spiega l’assessore regionale alle Attività produttive Palma Costi – occorre agire sul livello nazionale per affrontare e discutere le questioni che riguardano anche il commercio internazionale, la tutela del “made in” e le questioni che riguardano il credito d’imposta e la fiscalità. Dall’altro, la Regione, ha già messo in campo misure ed azioni per supportare e incentivare l’internazionalizzazione, la nascita di nuove imprese, e la promozione dell’innovazione anche nelle imprese di piccole dimensioni. In questo incubatori, acceleratori e Fablab diventano luoghi non solo di contaminazione e trasferimento ma anche di raccolta di nuove idee e nuovi modi di interpretare la moda. Due i prossimi passi. Il primo è quello di portare le nostre proposte al Governo chiedendo un confronto anche sulle politiche del commercio internazionale e sulla fiscalità delle imprese; il secondo è quello di organizzare un focus nazionale specifico sull’internazionalizzazione».
«La Regione – spiega l’assessore regionale alle Attività produttive Palma Costi – sta mettendo in campo misure rivolte soprattutto alla formazione, sia tecnica che alta formazione, alla nascita di nuove imprese, alla contaminazione tra poli tecnologici e impresa per l’incremento e la diffusione dell’innovazione anche nelle imprese di dimensioni minori. In questo i Fablab diventano luoghi non solo di contaminazione e trasferimento ma anche di raccolta di nuove idee e nuovi modi di interpretare la moda che diventano ancor più fondamentali per questo settore».
L’assessore regionale al Lavoro e Università Patrizio Bianchi ha evidenziato che il comparto della moda «per affrontare i nuovi mercati globali con una produzione e una distribuzione competitive, deve saper coniugare ricerca, innovazione e nuove tecnologie all’identità del patrimonio produttivo stratificato nel tempo. I prodotti di qualità del nostro manifatturiero debbono avere come valore aggiunto la capacità di esaltare l’identità del prodotto stesso e del territorio in cui è realizzato. Riposizionare il sistema del fashion e presidiare il mercato globale è possibile con una produzione a forte identità che possa poggiare su una forte, ampia e innovativa rete di distribuzione».
Anche nella filiera della moda le imprese che esportano ed innovano riescono a competere. Le imprese esportatrici nella filiera della moda – considerando sia la produzione sia la commercializzazione (tessile, abbigliamento, pelli, macchine per la lavorazione, agenti commerciali, ingrosso, dettaglio e ambulanti) – sono complessivamente 2.047 (8,8% del totale): il 77% delle produttive esporta e di queste il 53% è esportatore abituale mentre il 53% del commercio esporta e di queste il 28% è esportatore abituale. Ben 1.045 (51%) delle esportatrici ha meno di 5 addetti, 15,7% delle esportatrici è impresa artigiana e l’8,2% delle artigiane della filiera moda esporta: il 28,2% la quota media per impresa esportatrice del fatturato realizzato all’estero sul totale fatturato.