Mons. Gilberto Baroni – Foto Giuseppe Codazzi

Nell’ambito dell’anno centenario della nascita di monsignor Gilberto Baroni, vescovo di Reggio Emilia dal 1965 all’89, si sono svolte oggi a Reggio Emilia due iniziative promosse dal Comune di Reggio e dalla Diocesi di Reggio Emilia-Guastalla.

In un incontro al nuovo Centro pastorale Sacro Cuore di Baragalla, il sindaco di Reggio Emilia Graziano Delrio, il vescovo della diocesi di Reggio Emilia-Guastalla Adriano Caprioli e il vescovo ausiliare Lorenzo Ghizzoni, il professor Giuseppe Giovanelli del Centro diocesano di Studi storici ricordano la figura di monsignor Baroni, ripercorrono gli anni della missione pastorale di monsignor Baroni alla guida della Diocesi, la testimonianza ed eredità spirituale, religiosa, culturale e civile.

Successivamente, nelle immediate vicinanze del Centro pastorale una strada, compresa tra via Guittone d’Arezzo e via Jacopo Sannazzaro, è stata intitolata a monsignor Baroni: da essa si accede allo stesso Centro pastorale di Baragalla e alla nuova chiesa del Sacro Cuore ormai ultimata.

HANNO DETTO – Agli incontri hanno partecipato, insieme a numerosi cittadini, le sorelle di monsignor Baroni, i deputati Emerenzio Barbieri e Pierluigi Castagnetti, la presidente del Consiglio comunale Emanuela Caselli, fra le promotrici dell’intitolazione della via a monsignor Baroni, e il presidente del Consiglio provinciale Gianluca Chierici, il presidente della Circoscrizione Sud Gianni Prati e il prorettore dell’Università di Modena e Reggio Emilia Luigi Grasselli.

“Non si riflette abbastanza, di solito, su un tema che ritengo significativo – ha detto il sindaco Delrio, ricordando la figura di monsignor Baroni – La Chiesa e il suo vescovo in generale, monsignor Baroni in particolare, sono importanti, sono un dono, per tutta la comunità civile, perché coltivano la Persona, che è costantemente al centro dell’ azione pastorale e della testimonianza. La Chiesa è parte di un tutto che unisce le persone e le pone al centro. Questo costituisce un arricchimento collettivo, da cui tutta la comunità trae beneficio.

“In questo – ha aggiunto Delrio – monsignor Baroni è stato imprescindibile costruttore della convivenza civile nella nostra città. Giunto a Reggio nel 1965 in un clima di grande entusiasmo suscitato dal Consiglio Vaticano II e anche di crisi, di messa in discussione di quanto era stato punto di riferimento fino poco tempo prima, monsignor Baroni entrò in contatto e aprì un dialogo forte e costante con la comunità civile, anche con il mondo politico e amministrativo, trovano interlocutori leali e di rilievo, come i due sindaci Renzo Bonazzi e Ugo Benassi. Univa alla sua autorevolezza, grande amabilità ed ironia nei rapporti interpersonali: doti umane che gli permettevano di mettersi in contatto con la persona.

“Possiamo leggere distintamente, nei suoi scritti e nella sua pastorale – ha sottolineato il sindaco – una chiamata esplicita di ognuno alla responsabilità nel tempo che vive. In particolare i fedeli cristiani, come scrisse nella lettera con cui istituiva la Caritas diocesana nel 1977, sono obbligati ancora di più a farsi carico dei problemi umani. E’ il messaggio che emerge anche nel Sinodo diocesano o in singole azioni come l’apertura del Ceis, nella nuova attenzione ai nomadi, nella promozione rilevante dell’attività missionaria in Brasile, Madagascar e India legata a una sensibilità internazionale che oggi ci ha resi più maturi di fronte al fenomeno delle migrazioni, nella chiamata a un protagonismo diretto dei laici e del diaconato permanente nella vita della Chiesa certo, ma anche della città.

“Credo che monsignor Baroni – ha concluso Delrio – fosse innamorato della città degli uomini, cioè della comunità tutta insieme, che si fonda su una responsabilità pubblica collettiva, prima di tutto nel rispondere a chi è nella difficoltà, nel bisogno, nel servire la Persona. Una Chiesa e un vescovo dunque amici della città, con uno stile di vicinanza, di apertura, di chiarezza delle idee e una continua tensione a rincorrere l’errante, senza mai chiudere la porta. Appunto un grande dono per Reggio Emilia, per tutta la comunità civile, ancora oggi”.

Il vescovo ausiliare Lorenzo Ghizzoni ha ricordato fra l’altro, con una sintesi efficace, come monsignor Baroni abbia incarnato quella massima per cui “nessuno è escluso dal cuore del vescovo”, secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano II e quindi con grande attenzione ai giovani, alla famiglia, alla giustizia e alla pace, all’unità della Chiesa e alla liturgia. Il professor Giuseppe Giovanelli, ripercorrendo la vita e l’azione pastorale di monsignor Baroni, ha sottolineato l’attenzione a temi sociali e civili, a una solidarietà quanto mai concreta e concretizzabile nella vita di ciascuno. Temi presenti fra l’altro nell’omelia per la festa di San Prospero del 1974: dignità dell’uomo nel lavoro e quindi dignità del lavoro; giustizia e onestà nell’economia e nel commercio, quindi la giusta retribuzione e il giusto valore dello scambio; il dovere di pagare i tributi come responsabile partecipazione e contributo alla vita collettiva.

Il vescovo Adriano Caprioli, che ha impartito la benedizione, e il sindaco Delrio hanno poi scoperto la targa della nuova strada, intitolata a monsignor Baroni.

CENNI BIOGRAFICI – Monsignor Gilberto Baroni nacque nel 1913 a Gherghenzano, frazione del comune di San Giorgio di Piano (Bologna).

Il futuro vescovo reggiano entrò in tenera età nel seminario arcivescovile di Bologna e fu ordinato sacerdote nel 1935, nella basilica di San Luca a Bologna, dall’allora cardinale arcivescovo di Bologna Giovanni Battista Nasalli Rocca. Dopo essersi laureato in Teologia e Diritto canonico alla Pontificia università gregoriana e in Giurisprudenza all’Università di Bologna. Dopo diversi incarichi in Curia, fu pro-vicario generale dal 1950 al 1952.

Nel 1954 viene nominato dal papa Pio XII vescovo ausiliare di Bologna, con il titolo della Chiesa di Tagaste, e consacrato vescovo dal cardinale arcivescovo di Bologna Giacomo Lercaro, di cui fu appunto ausiliare e vicario generale.

Il 30 maggio 1963 venne nominato vescovo di Albenga, dove fece il suo ingresso ufficiale nel settembre dello stesso anno.

Dal 27 marzo 1965 è stato vescovo alla diocesi di Reggio Emilia e il 10 febbraio 1973 divenne anche vescovo della diocesi di Guastalla, di cui era già amministratore apostolico dal 1970. Il 30 settembre 1986, all’unione giuridica delle due diocesi, divenne vescovo di Reggio Emilia-Guastalla.

Suo vescovo ausiliare fu, dal 1983 al 1991, il futuro cardinale Camillo Ruini, da lui stesso consacrato vescovo il 29 gennaio 1983.

Per raggiunti limiti di età, rinunciò alla Diocesi nel 1989 e morì a Bologna nel 1999.

UN’IMPRONTA PROFONDA – Le iniziative di oggi sottolineano ulteriormente il riconoscimento della città di Reggio Emilia a quegli aspetti di rilevanza spirituale e civile, di solidarietà e cooperazione che hanno caratterizzato la più che ventennale conduzione della diocesi reggiana da parte del vescovo Baroni: il suo cammino pastorale ha lasciato un segno profondo, tuttora attuale e fruttuoso, in tutta la comunità.

Quelli dell’episcopato a Reggio Emilia di monsignor Baroni sono stati anni di mutamento, difficili e straordinari, per il Paese come per Reggio e la Chiesa reggiana, uscite da quel percorso – che nella Chiesa affonda le radici nel Concilio Vaticano II e a livello locale ebbe un capitolo intenso nel Sinodo diocesano – con una fisionomia precisa, più forte e matura, più aperta all’accoglienza, alla comprensione dei segni dei tempi e a una nuova lettura del proprio passato e futuro. Il vescovo Baroni in questo percorso è stato una guida sicura, aperta ed equilibrata, punto di riferimento anche per la società civile.

Aspetti di cui Reggio è sempre stata consapevole, come dimostra fra l’altro il riconoscimento della cittadinanza onoraria conferita a monsignor Baroni dal Consiglio comunale il 17 novembre 1989, con la seguente motivazione: “A solenne riconoscimento del grande lavoro svolto nei confronti della comunità reggiana quale guida spirituale della Diocesi di Reggio Emilia, per il nobile impegno a sostegno della solidarietà, della cooperazione e per la costruzione di un modello di civiltà avanzato in una società più giusta e più umana”.

NEL SEGNO DEGLI ULTIMI – Osservatore attento e interprete della comunità reggiana, monsignor Baroni individuò emergenze e povertà, che lo portarono a istituire, tra l’altro, la Caritas diocesana nel 1977 e il Ceis per la vicinanza e l’aiuto ai tossicodipendenti e alle loro famiglie; a porre all’attenzione delle coscienze il tema delle persone nomadi; a stimolare i laici a un impegno più diretto nella vita della Chiesa e civile; a promuovere le missioni diocesane nel mondo; a porre in primo piano straordinari frutti della Chiesa reggiana come le Case della Carità e i Servi della Chiesa.

 

Per meglio comprendere il suo pensiero, riportiamo alcuni stralci della lettera con cui, nel 1977, istituiva la Caritas diocesana: “Una Chiesa in stato di servizio”.

 

«…   Il Vangelo non è estraneo agli affanni dell’uomo, non genera dei disimpegnati…. La salvezza annunziata dal Vangelo si realizza entrando nella storia umana, ed è proprio la fede che obbliga ancora di più il cristiano a farsi carico dei problemi umani.      Il cristiano anzi deve essere presente proprio dove non c’è più alcuna speranza umana e mondana, e dove l’impegnarsi sembra che non giovi più: accanto ai moribondi, ai vecchi, agli incurabili, ai dementi, ai defunti: anche là dove non c’è da aspettarsi neppure un sorriso di ringraziamento…

La carità dunque non deve essere vista come impegno di pochi; ma di tutta la comunità. I fedeli tutti devono maturare questa coscienza: sono “insieme”, “fanno comunità”, proprio per servire. …

Il mio auspicio, oggi, non può essere che questo: la chiesa reggiana non solo conosce, non solo apprezza, non solo gioisce per la provvidenziale fioritura di opere e di iniziative nel campo dell’assistenza, dell’educazione e della carità, ma essa stessa ne assume tutto il valore religioso e pastorale, lo fa proprio e lo immette nel circolo vitale del suo organismo; se ne arricchisce e arricchisce le opere stesse in una comunione che trova nella carità la sua matrice. È questo l’orientamento che emerge dal senso della chiesa e dalle ispirazioni conciliari…

D’altra parte l’idea stessa che l’attività assistenziale non sia un semplice atto di generosità, ma una “responsabilità pubblica”, la risposta ad un diritto di chi è nel bisogno, è gradualmente penetrata nella coscienza dei pubblici poteri, non senza l’influsso e lo stimolo dell’insegnamento e della prassi della Chiesa…

La fondazione della Caritas vuole tradurre le nostre scelte e i nostri convincimenti in realizzazioni concrete, per una crescita, soprattutto qualitativa, della nostra operosità assistenziale che non mortifichi nulla di quanto esiste, ma unisca e sostenga gli sforzi di ciascuno.

Un aspetto particolarmente interessante del valore comunitario delle nostre opere va scoperto nella partecipazione diretta del cosiddetto volontariato. …

La presenza quotidiana in mezzo alla gente, a contatto diretto con i problemi delle famiglie, mi avverte inoltre che oggi il povero che si rivolge a noi, non è solo colui che è carente di mezzi per la sussistenza o non ha quanto basta per accedere a servizi talvolta dispendiosi e irraggiungibili; è più spesso un povero che gli elenchi e le statistiche ignorano e che tuttavia soffre di una povertà la più umiliante. È il povero che la società dell’opulenza paradossalmente spinge ai propri margini…

La povertà non è solo quella del danaro, ma anche la mancanza di salute, la solitudine affettiva, l’insuccesso professionale, l’assenza di relazioni, gli handicap fisici e psichici, le sventure familiari e tutte le frustrazioni che provengono dalla incapacità di integrarsi nel gruppo umano più prossimo. In definitiva il povero è colui che non conta nulla, che non viene mai ascoltato, di cui si dispone senza mai domandare il suo parere e che si chiude in un isolamento così dolorosamente sofferto che può arrivare talora ai gesti irreparabili della disperazione».