Il dramma di Genova e delle Cinque Terre è un terribile insegnamento di cui tenere conto nel costruire il domani del nostro Paese. Ma quali sono le analogie e le differenze tra Reggio Emilia e Modena e la vicina Liguria? E, soprattutto, come imparare e andare oltre il ripetersi di simili episodi?

“Per il rispetto dovuto alle vittime e la complessità del tema è necessario essere estremamente prudenti nell’esprimere le proprie opinioni. E’ infatti chiaro che le precipitazioni di questi giorni siano da considerarsi eccezionali e che, quindi, simili quantitativi d’acqua (anche 500 mml in poche ore) causerebbero problemi enormi ovunque. Se non vogliamo cadere nel fatalismo non dobbiamo però limitarci a questa considerazione. Dobbiamo invece riconoscere che i cambiamenti climatici in atto rendono sempre più frequenti questi fenomeni improvvisi e devastanti, che prendono il nome di “bombe d’acqua” o “muri d’acqua, e che la gravità di questi fenomeni è resa ancor più spaventosa dallo sviluppo urbanistico che ha portato a incanalare e in alcuni casi addirittura a tombare fiumi e torrenti, rendendoli così ben più pericolosi in situazioni di piena. Il caso di Genova lo dimostra”.

Quali sono, pertanto, le misure da adottare per ridurre le conseguenze dannose di questi fenomeni? E come ridurne i danni dinnanzi a eventi eccezionali?

“E’ evidente e condivisa sui media la consapevolezza che la prevenzione si ottiene con la manutenzione e la cura costante dei corsi d’acqua. Le grandi opere idrauliche (scolmatori, casse di espansione,…) sono utili purché affiancate al lavoro di persone ed enti preposti alla loro costante manutenzione. Altrettanto si può dire per tanti rii, torrenti o fiumi troppo spesso in stato di incuria anche in conseguenza dell’abbandono delle coltivazioni e dei campi dovuto alla crisi dell’agricoltura.

Altra consapevolezza è la mancanza di un quadro chiaro e ben definito delle competenze e delle responsabilità tra i vari enti che operano sul territorio: troppo spesso i pochi finanziamenti pubblici finalizzati alla prevenzione del dissesto si disperdono tra i tanti soggetti coinvolti (Comuni, Comunità Montane, Enti Parco, Consorzi, Regione, Aipo, Autorità di Bacino, Province, Protezione Civile, ecc. ) perdendo sostanzialmente efficacia. Infine, si deve registrare l’abbandono, o quasi, dell’attività di polizia idraulica, finalizzata a prevenire e a punire gli abusi ai danni dei corsi d’acqua, che, ad esempio, vieta le costruzioni a ridosso dei torrenti, come purtroppo molto spesso è avvenuto in Liguria. Basti pensare che stiamo parlando di una funzione, sconosciuta ai più, fondata su di un complesso di leggi che risale addirittura al 1904 …”

In questo quadro, invero poco rassicurante, quali possono essere i modelli operativi da utilizzare?

“Una soluzione che, ad oggi, si è dimostrata efficace (ma che certo da sola non basta) è quella proposta dal modello dei consorzi di bonifica, deputati in via immediata alla gestione di corsi d’acqua. Essendo direttamente responsabili di tale attività, eseguono regolarmente (almeno due volte l’anno) la manutenzione ordinaria dei canali e, quando necessario, si adoperano anche per la loro manutenzione straordinaria. Inoltre i consorzi sono tra i pochi enti a esercitare regolarmente le funzioni di polizia idraulica: ogni intervento nell’alveo dei canali deve essere autorizzato, previa verifica tecnica della sua compatibilità con il regime idraulico dei corsi d’acqua. Gli abusi vengono perseguiti, anche grazie al personale di campagna che vigila costantemente sullo stato dei canali. Questo sistema di gestione dei corsi d’acqua minori, che molto spesso costituiscono la causa dei disastri alluvionali, è incentrato sull’istituto consortile, espressione dei principi di autogoverno e sussidiarietà a garanzia della massima efficienza nella gestione di problematiche così complesse e importanti. E’ così che il modello consortile porta a un maggior controllo dei corsi d’acqua e a migliorare il livello della prevenzione dei fenomeni di dissesto idrogeologico.

Devo anche ricordare che le ripetute richieste dell’Associazione nazionale delle bonifiche (Anbi) per prevenire i fenomeni di dissesto idrogeologico sono rimaste inascoltate ed il quadro economico non sembra favorevole al finanziamento di un complesso di interventi organici. Non ci resta che seguire scrupolosamente alcune e vecchie regole fondamentali: cura costante del territorio, chiarezza sulle competenze di chi opera per prevenire il dissesto idrogeologico e rispetto dei vincoli che la legge prevede per garantire il corretto regime idraulico dei nostri corsi d’acqua”.

(Il dramma di Genova e delle Cinque Terre è un terribile insegnamento di cui tenere conto nel costruire il domani del nostro Paese.

Ma quali sono le analogie e le differenze tra Reggio Emilia e Modena e la vicina Liguria? E, soprattutto, come imparare e andare oltre il ripetersi di simili episodi?

“Per il rispetto dovuto alle vittime e la complessità del tema è necessario essere estremamente prudenti nell’esprimere le proprie opinioni. E’ infatti chiaro che le precipitazioni di questi giorni siano da considerarsi eccezionali e che, quindi, simili quantitativi d’acqua (anche 500 mml in poche ore) causerebbero problemi enormi ovunque. Se non vogliamo cadere nel fatalismo non dobbiamo però limitarci a questa considerazione. Dobbiamo invece riconoscere che i cambiamenti climatici in atto rendono sempre più frequenti questi fenomeni improvvisi e devastanti, che prendono il nome di “bombe d’acqua” o “muri d’acqua, e che la gravità di questi fenomeni è resa ancor più spaventosa dallo sviluppo urbanistico che ha portato a incanalare e in alcuni casi addirittura a tombare fiumi e torrenti, rendendoli così ben più pericolosi in situazioni di piena. Il caso di Genova lo dimostra”.

Quali sono, pertanto, le misure da adottare per ridurre le conseguenze dannose di questi fenomeni? E come ridurne i danni dinnanzi a eventi eccezionali?

“E’ evidente e condivisa sui media la consapevolezza che la prevenzione si ottiene con la manutenzione e la cura costante dei corsi d’acqua. Le grandi opere idrauliche (scolmatori, casse di espansione,…) sono utili purché affiancate al lavoro di persone ed enti preposti alla loro costante manutenzione. Altrettanto si può dire per tanti rii, torrenti o fiumi troppo spesso in stato di incuria anche in conseguenza dell’abbandono delle coltivazioni e dei campi dovuto alla crisi dell’agricoltura.

Altra consapevolezza è la mancanza di un quadro chiaro e ben definito delle competenze e delle responsabilità tra i vari enti che operano sul territorio: troppo spesso i pochi finanziamenti pubblici finalizzati alla prevenzione del dissesto si disperdono tra i tanti soggetti coinvolti (Comuni, Comunità Montane, Enti Parco, Consorzi, Regione, Aipo, Autorità di Bacino, Province, Protezione Civile, ecc. ) perdendo sostanzialmente efficacia. Infine, si deve registrare l’abbandono, o quasi, dell’attività di polizia idraulica, finalizzata a prevenire e a punire gli abusi ai danni dei corsi d’acqua, che, ad esempio, vieta le costruzioni a ridosso dei torrenti, come purtroppo molto spesso è avvenuto in Liguria. Basti pensare che stiamo parlando di una funzione, sconosciuta ai più, fondata su di un complesso di leggi che risale addirittura al 1904 …”

In questo quadro, invero poco rassicurante, quali possono essere i modelli operativi da utilizzare?

“Una soluzione che, ad oggi, si è dimostrata efficace (ma che certo da sola non basta) è quella proposta dal modello dei consorzi di bonifica, deputati in via immediata alla gestione di corsi d’acqua. Essendo direttamente responsabili di tale attività, eseguono regolarmente (almeno due volte l’anno) la manutenzione ordinaria dei canali e, quando necessario, si adoperano anche per la loro manutenzione straordinaria. Inoltre i consorzi sono tra i pochi enti a esercitare regolarmente le funzioni di polizia idraulica: ogni intervento nell’alveo dei canali deve essere autorizzato, previa verifica tecnica della sua compatibilità con il regime idraulico dei corsi d’acqua. Gli abusi vengono perseguiti, anche grazie al personale di campagna che vigila costantemente sullo stato dei canali. Questo sistema di gestione dei corsi d’acqua minori, che molto spesso costituiscono la causa dei disastri alluvionali, è incentrato sull’istituto consortile, espressione dei principi di autogoverno e sussidiarietà a garanzia della massima efficienza nella gestione di problematiche così complesse e importanti. E’ così che il modello consortile porta a un maggior controllo dei corsi d’acqua e a migliorare il livello della prevenzione dei fenomeni di dissesto idrogeologico.

Devo anche ricordare che le ripetute richieste dell’Associazione nazionale delle bonifiche (Anbi) per prevenire i fenomeni di dissesto idrogeologico sono rimaste inascoltate ed il quadro economico non sembra favorevole al finanziamento di un complesso di interventi organici. Non ci resta che seguire scrupolosamente alcune e vecchie regole fondamentali: cura costante del territorio, chiarezza sulle competenze di chi opera per prevenire il dissesto idrogeologico e rispetto dei vincoli che la legge prevede per garantire il corretto regime idraulico dei nostri corsi d’acqua”.

(Marino Zani, presidente del Consorzio di Bonifica dell’Emilia Centrale)