Giovedì 15 settembre 2011, alle ore 20,30 in Piazza Garibaldi, nell’ambito della XXX Sagra del Tortellino Tradizionale di Castelfranco Emilia, sarà presentato il quarto libro edito dall’Associazione Culturale La Carbonara, “Il corpo comunale dei Pompieri di Castelfranco Emilia” del castelfranchese Alberto Poppi, realizzato con il contributo del Comune di Castelfranco Emilia, della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, dell’Associazione La San Nicola e con il patrocinio del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Modena.
Attraverso un meticoloso lavoro di ricerca da parte dell’autore, il libro costituisce un importante documento storico di Castelfranco Emilia e nel contempo conferisce il giusto tributo a questi “eroi volontari”, sempre dietro le quinte, scevri alla notorietà.
Una testimonianza d’interesse collettivo che inizia nel 1844, data in cui a Castelfranco Emilia fu istituito il corpo comunale dei vigili del fuoco, protratto per poco più un secolo fino al secondo dopoguerra, quando l’accorpamento alla sede di Modena ne segnò l’estinzione.
Rappresenta un pezzo di storia castelfranchese mai reso noto, ricco di aneddoti, immagini e documenti dell’epoca. Ciascuno, sfogliandolo, potrà riscoprire o apprendere qualche cosa di più sul patrimonio che la città di Castelfranco Emilia offre.
Dopo la presentazione di giovedì 15, il libro sarà disponibile nelle edicole e librerie di Castelfranco Emilia, o richiesto a: redazione@lacarbonarablog.it – tel. 339.7605345.
L’AUTORE. Alberto Poppi nasce a Castelfranco Emilia, dove da sempre risiede, nel 1969. Laureato in Giurisprudenza, parallelamente alle esperienze professionali, ha sempre coltivato la propensione per la scrittura ed una spiccata (oltre che innata) predilezione nutrita nei confronti delle tradizioni locali. Assertore del principio secondo il quale la Storia non è fatta dagli eroi, ma dagli uomini tutti, ritiene necessario valorizzare l’immenso patrimonio che il nostro passato offre, solo che si sia disposti a prestare un minimo di attenzione agli aspetti che quotidianamente offre. Se fin dall’infanzia ha assecondato con entusiasmo l’irresistibile tendenza a voltarsi indietro per vedere ciò che non è più, volando con la mente ed il cuore a ritroso nel tempo, gli anni trascorsi non hanno fatto altro che registrare l’evoluzione e la maturazione di tale insopprimibile aspetto. La ricerca, tra il soddisfatto e l’irrequieto, di documenti e testimonianze, di prove e nuovi interrogativi, di risposte ed accumulo di materiale inedito lo affascina al di là di ogni previsione. Chi lo conosce sa infatti quanto sia difficile tenere a freno la passione per un’ininterrotta tendenza a porsi nuovi obiettivi di indagine, accumulando con insopprimibile fervore miriadi di documenti ed interpellando chiunque possa consentirgli di addivenire a scoperte – o riscoperte – impensate. Purtroppo, sottolinea ironicamente, la “sana patologia” che lo affligge non è molto contagiosa, e lo costringe talvolta ad una “quarantena” che non gli consente di condividere come vorrebbe i multiformi aspetti del nostro passato. Nonostante il tempo trascorso ne abbia inevitabilmente offuscato la memoria, infatti, quel passato ci appartiene: è parte di noi, della nostra storia non meno che del nostro essere attuale. Ad esso – ci piaccia o no – siamo inscindibilmente legati. Ecco perché desidera apportare il proprio contributo per far rinverdire tutto ciò che, talora magari inconsapevolmente, è nostro. Si tratta di un’eredità intangibile ma preziosa, che non richiede nemmeno l’accettazione con beneficio d’inventario: gratuita e a disposizione di tutti, tacita e magniloquente ad un tempo, umile nella sua straordinaria grandezza. E’ in virtù di tali convinzioni che – dichiara convinto – intende proseguire, crescere senza mai fermarsi né ritenersi soddisfatto, come ha cercato di dimostrare nel suo primo saggio storico-etnografico (“Al Marangaun – Storia dei falegnami di campagna”, 2005) e nei numerosi altri lavori che sono ad oggi in fase di preparazione o definizione, intervallati dalla recente pubblicazione di un romanzo (“Il capitano Edmund”) che ama definire come il suo “vezzo”.