Modena spende in media per i servizi sociali 265 euro l’anno per ogni cittadino contro i 180 della media provinciale. E a fronte di una maggiore spesa, è più elevato anche il tasso di copertura dei servizi. Il dato è emerso nel corso del convegno “Il welfare locale al tempo della crisi”, che si è svolto oggi al Teatro San Carlo per iniziativa del Comune nell’ambito del percorso degli stati generali “Effetto Modena”.
Dalle relazioni dei docenti Chiara Saraceno, del Wissenschaftszentrum Berlin fur Sozialforschung, e Paolo Bosi, presidente del Centro di analisi delle politiche pubbliche dell’Università di Modena e Reggio Emilia (Capp), è emersa l’esigenza di nuove forme di responsabilizzazione e partecipazione della comunità locale – cittadini, imprese e terzo settore – per rendere più sostenibile il sistema di servizi all’infanzia, agli anziani e ai disabili.
Chiara Saraceno ha sottolineato che “il welfare italiano era già in crisi prima della crisi per il prevalere di logiche di categoria e per le enormi differenze tra le diverse realtà locali. In Italia – ha precisato – in relazione a dove si abita si possono avere o non avere accesso al nido, all’assistenza agli anziani e ad altri servizi pubblici”. Secondo Saraceno, il sistema di stato sociale italiano sarebbe estremamente vulnerabile proprio perché troppo basato sul ruolo della famiglia, del volontariato e della carità. “Il caso di Modena – ha aggiunto la studiosa – mostra quanto spazio ci sia per un governo locale che voglia integrare ed equilibrare un welfare nazionale bucherellato e asimmetrico”. Proprio perché “la città ha investito molto è forse giunto il momento che i cittadini si prendano maggiori responsabilità, ad esempio puntando sul volontariato dei professionisti in pensione, dagli insegnanti agli ingegneri”.
Secondo Paolo Bosi, Modena ha fatto ripetutamente ricorso al “welfare mix”, cioè alla cooperazione tra pubblico e privato, ma oggi, con la crisi, “il rischio è che i servizi sociali diventino un’offerta residuale, solo per i poveri”. Il problema riguarda soprattutto le risorse finanziarie, ma secondo il presidente del Capp è importante evitare di drammatizzare eccessivamente la situazione: una manovra economica da 20 milioni di euro significa, in una città come Modena, 480 euro per ogni famiglia il cui reddito è superiore alla media. “Per queste famiglie più ricche, si tratta di un’incidenza sul reddito netto familiare dello 0,5%-1,2%. Un contributo pesante – ha chiarito lo studioso – ma non intollerabile e sicuramente non tale da giustificare l’abbandono di un modello di welfare che ha avuto successo”.
Bosi è inoltre intervenuto sulla compartecipazione alle tariffe (“si potrebbe forse chiedere un contributo maggiore nei servizi agli anziani, perché molto spesso questi utenti hanno a disposizione patrimoni maggiori rispetto alle giovani coppie”) e ha analizzato il ruolo di 10 diversi “portatori di interesse” che, insieme al Comune, hanno un ruolo nel sistema locale dei servizi sociali. Al sindacato spetterebbe, secondo il docente, il compito di “contrastare il dualismo del mercato del lavoro e le grandi differenze tra il costo del lavoro nel pubblico e nel privato sociale”. Le imprese dovrebbero “rispettare le normative, per esempio nell’inserimento dei lavoratori disabili, e consentire maggiore flessibilità per conciliare la vita professionale con il lavoro di cura”. Alla cooperazione, secondo Bosi, il Comune potrebbe chiedere una “maggiore partecipazione nella programmazione dei servizi e non solo nella semplice gestione”. In conclusione, il presidente del Capp ha sottolineato come il fenomeno migratorio “incida in modo trasversale su tutto il sistema di welfare, dalle politiche educative a quelle per la casa” e come “tra i casi maggiormente a rischio povertà e meritevoli di attenzione ci siano spesso i minori stranieri, che rappresentano di fatto una larga percentuale di quelli che saranno i modenesi di domani”.
Nel corso del convegno sul welfare si sono svolte anche due sessioni tematiche dedicate ai servizi per l’infanzia e alle politiche rivolte agli anziani e alle persone non autosufficienti che hanno messo a confronto la situazione di Modena con quelle di Ravenna, Padova e della provincia di Cremona.