Il riconoscimento del diritto di voto ai cittadini non comunitari che vivono e lavorano nel nostro Paese è al centro dei due ordini del giorno approvati dal Consiglio comunale di Modena nella seduta di ieri lunedì 11 ottobre.
Con il primo, illustrato dal consigliere Pd, Stefano Prampolini, l’Aula ha espresso “dissenso per la legge 459/2001, che esclude dal diritto di voto gli stranieri che contribuiscono alla crescita ed allo sviluppo nazionale, includendo invece i connazionali residenti all’estero che non pagano le tasse”. La mozione impegna la Giunta ad attivarsi per sollecitare “il Governo a porre rimedio a questa asimmetria, accelerando il percorso per l’ottenimento della cittadinanza” e “a ripensare alcuni dei diritti degli italiani all’estero”.
Con la seconda mozione, presentata da Fabio Rossi (Pd), il Consiglio comunale ha espresso “parere positivo e sostegno alla proposta di legge detta Veltroni-Perina sul riconoscimento e il diritto di voto ai cittadini non comunitari alle elezioni amministrative” e ha invitato i parlamentari modenesi a sostenere il percorso parlamentare della proposta.
Entrambe le mozioni sono passate con il parere favorevole di Pd e Idv, contrario di Pdl, mentre il consigliere di Modenacinquestelle.it non ha partecipato al voto.
Per il Pdl, il capogruppo Adolfo Morandi ha detto che la legge attuale prevede “un percorso ben definito in base al quale per ottenere il diritto di cittadinanza e quindi di voto, debbono trascorrere dieci anni: un tempo adeguato per compiere un percorso che attesti la volontà di queste persone di divenire cittadini italiani. D’altra parte – ha concluso – ci sono immigrati che sono qui da oltre dieci anni, ma non hanno chiesto la cittadinanza”. E secondo Gian Carlo Pellicani “la cittadinanza deve essere una conseguenza naturale del percorso di integrazione e chi la vuole deve conquistarsela”, mentre “concedere il diritto di voto potrebbe comportare una reazione scomposta”. Il consigliere ha inoltre sottolineato: “Si inizia a ragionare nell’ottica della cittadinanza a punti, una proposta che non è piaciuta a tutta la sinistra, forse non siamo così lontano da una soluzione: lavorando insieme alle proposte che hanno una radice comune si potrebbe arrivare ad una riforma condivisibile”.
Secondo Vittorio Ballestrazzi (Modenacinquestelle.it) “non spetta al Consiglio comunale esprimersi su tale materia: poiché la cittadinanza è uno degli atti che identificano uno Stato ed entrare in questi aspetti esula dai nostri compiti”. Il consigliere si è però detto d’accordo con i dieci anni previsti dalla normativa attuale, ma “l’errore – ha precisato – è che di fatto i tempi per l’accoglimento della richiesta si allunghino molto”.
Per il Pd, Stefano Goldoni ha affermato di condividere “la proposta dell’onorevole Fini di concedere il diritto di voto attivo e passivo agli stranieri in possesso di regolare permesso di soggiorno, in Italia da almeno sei anni e che sono in grado di dimostrare di disporre di un reddito sufficiente per il sostentamento della propria famiglia”. Una soluzione che contribuirebbe “ad eliminare le disuguaglianze sociali e a rimuovere gli ostacoli per il riconoscimento dei pari diritti”, ha concluso. Anche a parere di Giulia Morini “l’accesso al voto amministrativo favorirebbe l’integrazione e diminuirebbe il tasso di conflittualità”, inoltre “è lo stesso Consiglio d’Europa che sollecita l’Italia ad andare in questa direzione”. La consigliera ha anche sollevato il problema dei 50 mila figli di immigrati che ogni anno nascono nel nostro Paese: “bambini che sono di fatto italiani, ma che devono aspettare 18 anni per richiedere la cittadinanza: in nessun stato europeo – ha commentato – esiste una legge così ostile ai giovani”. Enrico Artioli ha parlato della possibilità non solo di integrare, ma anche di valorizzare il contributo che gli immigrati possono dare. “Nessun altro Paese europeo ha tempi così lunghi e una regolamentazione tanto inadeguata per concedere la cittadinanza: o rivediamo questo percorso – ha spiegato – o distinguiamo, come propone Fini, il voto politico da quello amministrativo attraverso cui anche i cittadini stranieri potrebbero concorrere al miglioramento della comunità in cui vivono”.
Per Eugenia Rossi (Idv) il problema “non è concedere la cittadinanza dopo cinque o dieci anni, ma piuttosto che il periodo stabilito dalla legge si allunga molto nei fatti”; altro problema riguarda la questione dei “figli degli immigrati che, dopo aver compiuto il percorso di scolarizzazione in Italia, fanno parte, a tutti gli effetti, della nostra comunità”. In conclusione, “il problema sollevato dai due ordini del giorno esiste e va affrontato in Parlamento”, afferma la consigliera che però esprime perplessità sul sistema della cittadinanza a punti applicato “in un Paese come il nostro, in cui sappiamo quali tipo di pressioni e corruzioni avvengono in questi procedimenti”.