urbanisticaNonostante la mancanza di una consultazione preliminare che coinvolgesse anche le associazioni di volontariato, doverosa per un atto di tale portata, Legambiente esprime il proprio giudizio sulla legge urbanistica regionale di recente approvazione, che oltre ad aggiornare in diverse parti gli strumenti urbanistici già esistenti declina a livello locale il Piano casa nazionale.

Alcuni elementi positivi , qualche buono spunto ma soprattutto un’occasione mancata per quanto riguarda la limitazione del consumo di suolo. Indispensabile arrivare a breve ad individuare un limite massimo agli ettari anno che possono essere cementificati.

La valutazione sulla nuova legge urbanistica della Regione, la numero 6/2009 non è semplice, sia per la sua articolazione e varietà di tematiche affrontate sia per la mancanza di un coinvolgimento preliminare in fase di redazione che permettesse di coglierne gli aspetti salienti e un apporto propositivo da parte del mondo ambientalista e volontaristico.

Per una legge di tale natura, con ricadute tanto sul panorama e l’ambiente così come sulla struttura e l’organizzazione delle nostre città, un reale coinvolgimento di altri portatori di interesse, oltre agli addetti ai lavori, sarebbe stato doveroso.

Nel merito la valutazione più agevole – per l’immediatezza dei risultati che porterà – può essere fatta sul titolo III della legge, “Norme per la qualificazione del patrimonio edilizio abitativo”, declinazione a livello locale del cosiddetto Piano Casa.

Su questa parte della legge possono essere effettuati apprezzamenti positivi così come emergono anche dubbi e preoccupazioni.

Decisamente lodevole da parte regionale l’aver regolamentato, in un quadro organico e di rinnovamento qualitativo degli immobili, le spinte di deregolamentazione selvaggia venute avanti a livello nazionale con la prima proposta del c.d. “Piano casa”.

In particolare è corretto legare la possibilità di ampliamenti fino al 35% nel caso di demolizione e ricostruzione di edifici vecchi, ad un’opera di forte riqualificazione energetica e di adeguamento strutturale. Tale possibilità diviene un buono strumento di miglioramento urbanistico e per conseguire risultati di diminuzione di CO2 : è infatti molto probabile che i nuovi edifici presenteranno consumi energetici complessivamente minori di quelli di partenza, pur a fronte di un aumento del volume riscaldato.

In questo caso il bonus volumetrico diviene veramente un sistema virtuoso di supporto all’economia con ricadute collettive positive e contestuale stimolo all’innovazione verso l’imprenditoria dell’ambito edile.

Meno virtuosa appare invece la possibilità di ampliamenti fino al 20% della superficie utile, concessi ad edifici mono e bifamigliari.

Da un punto di vista urbanistico e paesaggistico occorre considerare i possibili effetti negativi introdotti con questi “bonus”, tenendo conto che queste tipologie abitative sono ubicate nella maggior parte dei casi in zone rurali o di pregio o comunque a minor densità urbana.

Da un punto di vista energetico gli standard di adeguamento energetico richiesti dalla Legge 6 risultano in questo caso meno incisivi rispetto al caso di demolizione e ricostruzione e di conseguenza è più remota la possibilità di ridurre i consumi energetici complessivi dell’immobile.

Al di la delle buone intenzioni individuabili nella nuova legge, tuttavia è sulla capacità di gestione del processo di deroga messo in atto che Legambiente esprime la propria preoccupazione principale.

La nostra associazione non è per niente affezionata alla burocrazia fine a se stessa e non demonizza bonus volumetrici, se concessi per operazioni virtuose, tuttavia ci si chiede che capacità avranno i Comuni di controllare che le spinte edificatorie messe in atto, in un regime semplificato, non portino a scempi estetici e ambientali? Chi controllerà che i requisiti energetici dei nuovi edifici siano veramente tali, quando le competenze per i controlli risultano altamente specialistiche e i fondi e il personale delle PA sono già sotto pressione?

Altro aspetto decisamente preoccupante è come si recepiranno negli strumenti urbanistici le nuove volumetrie generate da questa legge: saranno considerate adeguatamente al momento di dare attuazione a previsioni di espansione? Non vorremmo che questa nuova iniezione di cemento si sommasse alla tradizionale vocazione espansiva dei comuni della regione, dove da tempo i Piani urbanistici appaiono più una sommatoria di interessi particolari che una sintesi organica ed equilibrata di un idea di sviluppo.

Rispetto alle altre parti della nuova legge 6, Legambiente si riserva una valutazione più approfondita nel corso dei prossimi mesi.

In prima istanza appaiono apprezzabili l’attenzione alle politiche pubbliche per la casa, e la volontà di razionalizzare l’iter dei piani e il loro “volume” in termine di carta prodotta.

Alcuni passi vengono fatti nel senso di limitare il consumo di suolo, ma appaiono più una velleità teorica che strumenti incisivi per arginare questo fenomeno ormai allarmante.

I recenti dati sul consumo di suolo, pubblicati da Legambiente, Politecnico di Milano e Istituto Nazionale di Urbanistica, ci dicono come in Emilia Romagna la media di urbanizzazione del suolo proceda, dal 1976, a ritmi di oltre 8 ettari al giorno!

Anche con l’introduzione di strumenti urbanistici di nuova generazione (i cosiddetti PSC al posto dei vecchi PRG) non sembra essere rallentato questo consumo incontrollato di territorio.

Questa situazione testimonia come alle buone intenzioni della legge urbanistica esistente (la n° 20 del 2000) non sia corrisposta una sensibile contrazione della spinta edificatoria.

Legambiente avrebbe preferito quindi maggiore coraggio su questo versante, da parte di una regione che in passato era considerata un laboratorio di pianificazione urbanistica.

Già con una lettera inviata ai consiglieri regionali nel 2007 l’associazione aveva evidenziato come i Sindaci siano troppo assillati da esigenze di bilancio e troppo esposti alle pressioni delle lobby locali per poter seriamente pensare ad una contrazione all’edificazione. Unica strada veramente percorribile sarebbe un rafforzamento del controllo regionale, mediante la fissazione di un limite massimo di ettari di nuova edificazione che il nostro territorio può sopportare. La mancanza di tale limite lascia il nostro patrimonio di suolo libero in mano a spinte anarchiche, che nulla hanno a che fare con la tutela dell’ambiente e della bellezza o con la realizzazione di modelli virtuosi di urbanistica.

Nella nuova legge regionale 6/2009 si lascia alle Province, mediante il PTCP, la possibilità di fissare limiti all’urbanizzazione del proprio territorio. Legambiente premerà perché tale possibilità teorica venga effettivamente attuata.