L’intervento del Rettore dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, in occasione del V° anniversario dell’assassinio del professor Marco Biagi.

“Signor Sindaco, autorità, colleghi ed amici, cari studenti,
cinque anni fa, la sera del 19 marzo 2002, si compiva l’assassinio del professor Marco Biagi, un docente che insegnava presso il nostro Ateneo e a cui sono intitolati la Facoltà di Economia e questo complesso universitario che ci ospita, un luogo sì della memoria perché appartiene alla storia architettonica della città, ma più ancora un centro di promozione per brillanti ed efficaci iniziative rivolte ai giovani, come qualcuno di voi ha avuto modo di apprezzare nei due pomeriggi che hanno preceduto l’apertura di questo convegno.

La notizia di quel brutale agguato, sotto casa, sotto gli occhi increduli di quanti lo attendevano, contro una persona inerme, mite, un uomo di cultura, un leale servitore dello Stato, rimbalzò come un preoccupante campanello di allarme che avvertiva del ritorno di una pericolosa sigla, le Brigate Rosse, che avevano insanguinato in lungo e in largo l’Italia tra gli anni Settanta e Ottanta, e che qualche anno prima aveva minacciosamente rialzato la testa contro un collega del nostro professore, il giuslavorista Sergio D’Antona.

La notizia risuonò forte e non lasciò indifferenti gli ambienti della cultura. Da quel giorno la comunità scientifica ed accademica si riscoprì più vulnerabile, meno protetta e sicura, ma anche più ferma ed intransigente nella volontà di reagire a chi tentava con la forza cieca del terrore di spegnere le voci libere, gli intellettuali e gli studiosi, che hanno in dote – per opporsi alla brutalità armata – solo le loro convinzioni, la loro passione per la ricerca ed il rigore negli studi.

La giustizia su quella triste pagina ha fatto il suo corso. Ha emesso le sue sentenze. Ha perseguito i colpevoli e fatto luce sulla rete di appoggi e connivenze di cui godono i “cattivi predicatori”. L’Università, il mondo accademico non hanno dimenticato, però, quel sacrificio e hanno saputo adoperarsi perché la società onorasse degnamente quell’uomo, e insieme a lui tutti gli altri barbaramente e ingiustamente uccisi nell’esercizio del loro lavoro, e le sue idee, il suo anelito di conoscenza e di giustizia sociale diventassero fertile seme per lo sviluppo di importanti progetti e di ambiziosi traguardi.

Oggi la continuazione della sua opera, malauguratamente interrotta, e del suo metodo di studio è affidata ai suoi cari allievi, alla Fondazione Marco Biagi, un’istituzione universitaria presieduta dalla moglie Marina Orlandi, diventata in breve una realtà. Essa ben testimonia l’impegno dell’Ateneo e della famiglia per sostenere e favorire la ricerca nel campo del diritto del lavoro e delle relazioni industriali, raccogliendo il sogno di questo professore di realizzare una sede permanente di confronto internazionale, comparato, di idee tra giuristi e studiosi, tra Università e società, tra rappresentanti del mondo del lavoro ed imprese per sviluppare rapporti di collaborazione proficui a tutela di quella parte della società più debole ed esposta: i giovani.

Obiettivo costante e coerente del suo sforzo e della tensione morale, che lo sostenne in tutta la sua vita, erano – infatti – i giovani, i giovani che affollavano le sue lezioni, i giovani che frequentano le aule universitarie, i giovani intesi complessivamente come generazione e che premono per fare ingresso nella società e nel mercato del lavoro e per avere riconosciuto un ruolo ed uno status. A loro, a questa fascia di popolazione, guardavano le sue ricerche, i suoi progetti, i suoi tentativi di riforma, le sue realizzazioni ed i suoi lasciti documentari, come quel “Patto per l’occupabilità dei laureati dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia”, scritto di suo pugno, cui aveva dedicato le ultime ore prima della morte e che tanta parte ha avuto nel promuovere l’avvio dei giovani del nostro Ateneo nel mondo del lavoro, spronandoci ad intensificare da parte nostra le attività ed il servizio di placement.

Quel protocollo, ormai datato e risalente all’aprile del 2002, era però nella sua visione, nella sua prospettiva di enunciazione, solo una tappa, il primo “step” di un percorso che doveva necessariamente guardare alla definitiva inclusione dei laureati nel sistema produttivo e socio-economico.

Il “Patto per l’occupabilità dei laureati dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia” ci ha indicato la via di un percorso condiviso, per quanto difficile e complesso, indispensabile per raggiungere obiettivi formativi e di crescita professionali dei nostri studenti.

Adesso, però, è arrivato il momento di mettervi alacremente mano per aggiornarlo e per traguardarlo nella nuova realtà di un sistema e di un’organizzazione del lavoro, profondamente mutati sia nelle sue componenti strutturali che umane, che non può e non deve avere come sua unica finalità la precarietà per i giovani. Flessibilità e precarietà, da questo punto di vista – e ne era convinto anche lui – non sono e non possono essere sinonimi: la flessibilità di ingresso non deve diventare una condizione permanente, uno status. Vale per chi si affaccia al mondo del lavoro e vale anche per i tanti nostri ricercatori.

Occorre, dunque, partire da qui, dalla necessità di individuare forme di socializzazione, che restituiscano maggiore speranza e serenità a quanti si preparano a lavorare. Occorre indirizzare le temporanee collaborazioni proposte con esso verso occasioni di maggiore stabilità, per rivedere la sostanza e gli impegni sottoscritti in quel “Patto”, che aveva e ha il pregio di aver raccolto l’adesione di tutte le componenti sociali ed economiche locali. Per questo vogliamo proporre ai suoi contraenti (imprese, sindacati, istituzioni) di riempirlo di ulteriori contenuti e di un nuovo afflato, capace di rendere più pregante la qualità ed il valore dell’orientamento al lavoro e di esperienze come i “tirocini” e gli “stage” offerti ai nostri studenti che entreranno, terminati gli studi, nel mercato del lavoro.

Il percorso è già tracciato negli appunti e nelle riflessioni che ci ha affidato Marco. Questo, dunque, è l’impegno che ci ha trasmesso. Questo faremo fin dai prossimi giorni attraverso il nostro Ufficio dell’Orientamento al Lavoro, che proprio Biagi, da Delegato del Rettore volle fosse istituito e strutturato, perché il ricordo di questo caro collega ed amico non resti una semplice e rituale celebrazione, ma ne onori lo spirito, l’insegnamento, l’incoraggiamento ed il messaggio.

Voi presenti, che ringrazio sinceramente e sentitamente a nome dell’Ateneo per essere giunti tanto numerosi qui, vi apprestate a svolgere impegnative discussioni su tematiche di grande rilevanza e spessore scientifico, che aiutino a comprendere ed anticipare i cambiamenti per indirizzarli, per governarli. Ma, non dimenticate che la preoccupazione che ha sempre accompagnato Marco Biagi nelle sue ricerche e nei suoi studi era, anche in uno scenario dominato dalla globalizzazione del mercato, la creazione di un sistema efficace di relazioni industriali improntato all’estensione delle tutele per i più deboli e l’inclusione di quanti rischiano di essere solamente sorvolati da questo inarrestabile processo economico: la difesa della persona come individuo, la sua dignità non sono merce di scambio.

A tutti rinnovo le espressioni di ringraziamento mio personale e dell’Ateneo, augurandovi buon lavoro!”