Mentre il nuovo film di Francesca Comencini, ‘Mi piace lavorare’, solleva un dibattito sul fenomeno del mobbing, da una ricerca emerge che in Italia è
relativamente meno diffuso (il 4,2% dei lavoratori) che altrove, anche se nel Paese più spesso sono i superiori, e non i colleghi, i più accaniti mobber.
Più che essere legato alla competitività tipica del settore privato, poi, il mobbing sembra poter colpire chiunque, dunque anche nel pubblico, e indipendentemente da età, sesso e posizione gerarchica.
Sono questi alcuni dei risultati preliminari di una ricerca condotta da Paola Caiozzo, dell’area Organizzazione & Personale della Sda Bocconi sui casi di chi dal 1996 ad oggi si è rivolto alla Clinica del Lavoro di Milano ed è risultato affetto da
disturbo dell’adattamento (Dda) o disturbo post-traumatico da stress (Dpts), patologie per le quali la condizione di lavoro è considerata la causa più importante. Un terzo delle 3 mila persone che si sono rivolte alla Clinica rientrano tra i
mobbizzati.
Risulta omogenea la distribuzione del mobbing per fasce d’età, con valori ridotti solo tra i 21 e i 30 anni (5,9% dei mobbizzati), età in cui è più facile attuare strategie di exit. Analoga anche la distribuzione tra uomini (51%) e donne
(49%). Mentre tra i titoli di studio sono quelli più bassi a mettere al riparo dal mobbing, con solo l’1% delle vittime in possesso della licenza elementare. Torna simile, poi, la distribuzione per inquadramento professionale, seppur con una
percentuale alta tra i dirigenti (15%). Il fenomeno, infine, risulta essere più tipico della grande impresa piuttosto che della piccola.
Gli attacchi ai quali è sottoposto il mobbizzato sono
solitamente di tre tipi: alla persona, alla situazione
lavorativa e azioni punitive. Tra gli attacchi alla persona sono diffusissimi (85%) i comportamenti volti a istigare contro la vittima l’ambiente circostante e le provocazioni volte a fargli
perdere il controllo. Altrettanto tipici sono l’isolamento fisico, la creazione del silenzio attorno al soggetto, l’esclusione dalle attività ricreative e sociali e, infine, il rifiuto di collaborazione da parte dei colleghi.
Il mobbing si esplicita poi in attacchi a livello delle
capacità e dell’immagine professionale (critiche continue, mancata considerazione delle proposte, basse valutazioni, attribuzione di colpe) e in attacchi penalizzanti in eccesso (ascegnazione di carichi di lavoro e scadenze impossibili) o in
difetto (demansionamento, mancata assegnazione di lavoro). Gli attacchi penalizzanti in difetto sono più diffusi di quelli in eccesso, mentre l’attacco punitivo più diffuso è il rifiuto di permessi, ferie, trasferimenti.
Fenomeno tipico in Italia è il fatto che gli aggressori
siano per lo più riconosciuti nei superiori (53,5%), mentre i colleghi partecipano pochissimo alle azioni di mobbing (7,1%). Il resto del campione indica come aggressori diverse combinazioni di superiori, colleghi e subalterni. Il mobbing, in alcuni casi, raggiunge una tale intensità emotiva che la
vittima perde la lucidità e finisce per sentirsi accerchiata.