Eseguite dai Carabinieri di Bologna, con il supporto di Comandi Territoriali contermini ed Unità Specializzate, 30 misure cautelari (9 custodie cautelari in carcere, 18 arresti domiciliari e 3 divieti di esercizio di attività di impresa) e 43 perquisizioni in tutta l’Emilia Romagna. Sequestrati beni mobili ed immobili per 13 milioni di euro. Al centro dell’inchiesta il delicato comparto funerario.

L’articolata e complessa indagine, condotta dai militari della Compagnia Bologna Centro e dal Nucleo Investigativo del Reparto Operativo – coordinata dalla Procura della Repubblica di Bologna diretta dal Procuratore Capo dott. Giuseppe Amato – viene avviata nel novembre del 2017 in seguito all’esposto ed alle dichiarazioni di due degli attuali indagati che, per la prima volta, forniscono una serie di indicazioni sull’illecito sistema asseritamente caratterizzante lo specifico segmento imprenditoriale, con particolare riferimento al monopolio conseguito da due Consorzi nell’acquisizione dei servizi funerari nell’ambito del Capoluogo.

La complessa piattaforma tecnica impiantata e progressivamente implementata ha di fatto riscontrato a pieno tali contributi, apportando al contempo molteplici elementi di novità. In primo luogo le attività informative e di intercettazione telefonica, ambientale e video hanno consentito di ricostruire compiutamente gli assetti interni caratterizzanti i due citati cartelli di imprese, rispettivamente riconducibili agli imprenditori bolognesi G.A. classe ’52 e M.B. classe ‘56 (tra i destinatari di O.C.C. in carcere) emersi essere, di fatto, a capo di due associazioni ben distinte e perfettamente autonome in termini di capacità delinquenziali e struttura.

Sodalizi che, sin dalle prime battute, palesavano aver da tempo strategicamente provveduto a spartirsi il mercato – evitando sconvenienti e poco produttive sovrapposizioni – in modo da acquisire e consolidare le rispettive posizioni di primazia nel settore, in seno all’Ospedale Maggiore ed al Policlinico Sant’Orsola – Malpighi.

Le indagini hanno infatti messo in luce un sistema ampiamente rodato e consolidato nel tempo, strutturato su almeno tre livelli, e perfettamente speculare nell’ambito delle due realtà associative:

  • G.A. e M.B all’apice dei relativi Consorzi, rivestenti funzioni di promotori, capi ed organizzatori delle illecite progettualità;
  • un livello intermedio costituito da prescelti rappresentanti delle varie agenzie funebri coinvolte, aventi il compito di gravitare stabilmente nei pressi degli uffici delle camere mortuarie dei due nosocomi (contrariamente a quanto espressamente previsto dall’art. 13 c.5 della Legge Regionale nr. 19/2009) e di rivestire quindi funzioni di raccordo tra gli infermieri ivi operativi ed i succitati vertici;
  • la base, rappresentata proprio dagli infermieri incaricati di pubblico servizio, aventi il delicato incarico di “agganciare” i familiari dei defunti mettendoli in contatto con i rispettivi referenti delle varie agenzie di servizi (previa presentazione delle imprese di interesse come le più economiche, piuttosto che efficienti e/o rapidamente reperibili o in grado di fornire prodotti eco-compatibili). Il tutto, chiaramente, dietro sistematica corresponsione di contanti, per cifre variabili tra i 200 ed i 350 euro per ogni “lavoro” fatto acquisire al gruppo.

Determinante nell’ottica del funzionamento dei sodalizi nel loro complesso la strategica e consistente realizzazione di “nero aziendale” – gestito da affiliati aventi specifiche mansioni attraverso contabilità parallele – finalizzato non soltanto ad ampliare i personali margini di guadagno degli associati ma, soprattutto, ad alimentare in maniera regolare e sistematica il complesso meccanismo corruttivo alla base della progettualità criminale.

Ecco che G.A. emerge essere supportato in particolare da tre uomini sotto il profilo della complessiva organizzazione delle attività criminali e trait d’union verso la base – nonché da due infermieri a libro paga del sodalizio (incaricati di pubblico servizio appartenenti all’AUSL di Bologna) che partecipano all’associazione comunicando ai superiori livelli nomi ed informazioni sui deceduti ed indirizzando i loro familiari presso le ditte conniventi, in modo da consentire a titolari e loro incaricati di giungere tempestivamente presso gli uffici della camera mortuaria e di essere così incaricati per lo svolgimento delle esequie.

In tale quadro, meritano un cenno a parte il  braccio destro operativo che, oltre a collaborare nelle attività di direzione dell’associazione, si pone quale anello di congiunzione tra i vertici del sodalizio e gli altri associati, garantendo altresì la sua personale stabile anche presso la camera mortuaria dell’ospedale Sant’Orsola – Malpighi, obiettivo privilegiato del consorzio concorrente; un altro uomo avente il compito di occultare le ingenti somme illecitamente introitate (oltre 220.000,00 euro nel solo periodo delle investigazioni), nonché di gestire la contabilità parallela e riciclare il “nero” attraverso mirate attività di reinvestimento.

Analogamente, per quanto attiene il consorzio amministrato da M.B. emergeva essere dotato di nutrita schiera di sodali a vario titolo organizzatori e/o meri partecipi all’associazione. Nel novero non soltanto suoi stretti collaboratori – spesso diretti dipendenti – ma anche, a vario titolo, qualificati referenti delle varie ditte consorziate.

Anche tali dinamiche associative vedevano il loro perfezionamento attraverso una rilevante schiera di infermieri corrotti, incaricati di pubblico servizio appartenenti all’AUSL di Bologna, che partecipano alle medesime fornendo uno stabile contributo nell’aggiudicazione dei servizi funebri da parte del Consorzio di loro primo; una indispensabile e quantomai rodata squadra di soggetti dediti alle attività di amministrazione e contabilità, ingranaggio determinante nel perseguimento degli illeciti obiettivi. Sul punto le indagini documentavano come la stessa fosse articolata su due livelli, ovvero quello costituito dai vari sodali incaricati delle specifiche mansioni nell’ambito dell’impresa di appartenenza e, in progressione, quello superiore, responsabile della successiva sistematica raccolta dei liquidi (per tutte le agenzie affiliate), della loro tenuta e delle successive fasi di reinvestimento/redistribuzione. Vari poi i contabili/amministratori delle agenzie consorziate.

Numerose le attività di intercettazione, ad esempio, che esaltavano proprio il ruolo svolto in tale ambito da quest’ultima: era lei stessa, in diversi passaggi censurati, a disvelare incidentalmente le modalità attraverso le quali venivano generati i proventi occulti consentendo al sodalizio di ricevere in contanti, senza rilascio di alcuna fattura, una cifra oscillante tra i 500 ed i 900 euro per ogni singolo funerale. E’ ancora la stessa affiliata, interloquendo con altro sodale, a fare altresì riferimento al “canovaccio” sistematicamente utilizzato nei confronti dei clienti per raggirarli ed indurli a pagare parte della spesa in contanti (soprattutto nell’ottica del risparmio) o al più con un doppio assegno (l’uno intestato, l’altro in bianco). Identiche le modalità utilizzate da pressochè tutte le imprese associate, fondate proprio sull’ingenerare nell’ignaro cliente il convincimento che una parte del servizio debba essere corrisposto in contanti in quanto costo non detraibile.

Le indagini non mancavano, al contempo, di evidenziare la grande attenzione ad ogni buon conto prestata dagli indagati in questa fase, benchè forti di meccanismi ampiamente rodati ed ampiamente standardizzati: prova ne sono le (rare) occasioni in cui sono gli stessi intermediari a rappresentare superiormente quando agire con particolari cautele verso alcuni utenti e/o addirittura quando è meglio evitare di proporre l’illecita pratica.

Le indagini, corroborate da complesse intercettazioni video ed ambientali interne al sito in oggetto hanno dunque dettagliatamente disvelato tali aspetti, documentando non soltanto le modalità di ritiro e conservazione dei liquidi, attraverso il mantenimento di contabilità parallela, ma anche le connesse successive attività di riciclaggio con il reimpiego delle somme per alimentare il complesso sistema corruttivo e per implementare gli illeciti guadagni degli associati.

Le attività info – investigative condotte hanno poi consentito di approfondire ulteriormente il tema delle modalità di gestione dei “fondi occulti” del sodalizio, laddove veniva acclarato come soltanto negli ultimi 5 anni fosse stato deciso di affidare ad una donna lo specifico segmento e di individuare un luogo ben preciso quale base operativa ove tenere la contabilità parallela ed effettuare tutte le movimentazioni del caso.

Veniva infatti accertato come tra il febbraio 2009 ed il maggio 2013 i liquidi illecitamente realizzati dall’associazione fossero stati gestiti attraverso un conto corrente acceso presso una filiale della Cassa di Risparmio di Bologna, in San Matteo della Decima, fittiziamente intestato ad un anziano inconsapevole.

Dall’analisi del citato rapporto bancario emergeva, tra l’altro, come: l’accesso alla documentazione avvenisse mediante casella postale; sullo stesso fossero state registrate oltre 520 operazioni, con movimentazioni in entrata ed uscita pari a circa 435.000,00 euro; il rapporto fosse stato portato a 0 euro poco prima della chiusura del 2013.

Quanto sopra acclarava ancora una volta non soltanto la determinazione e la piena consapevolezza da parte degli associati circa l’illiceità delle condotte tenute – nella ricerca verso delle strategie sottese ritenute più opportune per dissimulare la lucrosa attività criminale perpetrata – ma anche ancora una volta quanto le stesse costituissero prassi consolidata e risalente nel tempo.

Le investigazioni documentavano quindi sì la sussistenza e l’operatività di due consorzi configuranti associazioni autonome, per struttura e dinamiche criminali, ma mettevano altresì in luce anche tutti gli elementi di tangenza e raccordo tra gli stessi, a conferma di cointeressenze radicate nel tempo, che vanno ben oltre la “semplice” spartizione dello specifico business sul Capoluogo.

Gli stessi indagati non perdevano occasione per manifestare incidentalmente piena consapevolezza in merito all’illiceità delle condotte tenute. Parimenti, non mancavano aspetti ancor più drammaticamente riprovevoli, con particolare riferimento a quanto apprezzato grazie alle intercettazioni in merito al trattamento spesso riservato alle salme, considerate con spregio, mero tramite per il perseguimento degli illeciti fini associativi.

Giova rammentare come una costola dell’attività investigativa in oggetto abbia già visto una sua preliminare definizione nel più ampio quadro dell’operazione cosiddetta  “Fiore velenoso”, scaturita proprio dalle attività condotte in direzione di alcuni indagati.

Nel corso dell’operazione, condotta tra le province di Bologna, Modena, Ferrara, Rimini e Gorizia, i militari stanno procedendo anche ad un rilevante sequestro preventivo di beni mobili ed immobili. Giova in tale quadro precisare come gli elementi investigativamente raccolti abbiano infatti concorso a disegnare un quadro di gravità indiziaria a anche a carico delle persone giuridiche coinvolte nella vicenda resesi responsabili delle violazioni di cui al D. Lgs. 231/2001. L’applicazione della normativa in oggetto – avanzata dalla Procura della Repubblica di Bologna e condivisa dal GIP in fase di redazione della misura cautelare – afferisce in modo particolare alla “Responsabilità amministrativa degli Enti” e costituisce valore aggiunto dell’attività di indagine in oggetto. La stessa prevede infatti che possano essere applicate misure cautelari anche alle persone giuridiche laddove ricorrono reati di corruzione[1], vi sia un vantaggio per l’Ente e/o i fatti in oggetto siano riferibili alle persone fisiche che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’Ente stesso. I reati contestati nella fattispecie risultano evidentemente caratterizzati dal perseguimento di un illecito interesse da parte dei singoli enti, che si configura proprio nell’acquisizione illecita del maggior numero di servizi funerari e, quindi, nell’ampliamento e consolidamento della specifica fetta di mercato.

Basti peraltro pensare come gli stessi intermediari dipendenti delle imprese abbiano agito nel concorrente interesse a vantaggio delle società, come confermato dal fatto che il prezzo della corruzione agli infermieri si sia concretizzato attraverso provviste di liquidi a loro riferibili, ma alle imprese, poiché ricavate dall’articolato sistema di sottofatturazione in sé idoneo a generare il “nero” da destinare agli stessi incaricati di pubblico servizio corrotti.

In tale quadro il GIP del Tribunale di Bologna – dott. Alberto Ziroldi – su richiesta del PM – dott. Augusto Borghi – ha disposto il sequestro preventivo ex art 321 c.1 cpp finalizzato alla confisca dei beni aziendali delle succitate 6 società, di un ufficio “bunker”; il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto dei reati contestati (ai sensi del D. Lgs. 231/2001), par circa 115.000,00 euro; il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto illecito realizzato dagli incaricati di pubblico servizio in relazione ai reati di corruzione, per circa 28.000,00 euro. Le attività condotte sul punto, tuttora in corso, stanno vedendo sotto un profilo complessivo il sequestro di 5 immobili, 35 unità locali sedi societarie e circa 75 autoveicoli, per un valore complessivo di circa 13 milioni di euro.