La seconda conferenza del programma culturale Costruire, abitare, presso la Galleria dell’Architettura, ha visto come protagonista ieri pomeriggio Carla Juaҫaba. Per l’architetto brasiliano, nata nel 1976 a Rio de Janeiro, si tratta di un ritorno dopo la partecipazione al Cersaie nel 2013. L’incontro è stato aperto dai saluti del vice presidente di Confindustria Ceramica Emilio Mussini, a cui ha fatto seguito l’introduzione di Francesco Dal Co. Lo storico dell’arte ha ricordato il lavoro di Juaҫaba alla Biennale di Venezia di quest’anno, all’interno della Padiglione della Città del Vaticano sull’isola di San Giorgio Maggiore, dove ha realizzato una delle dieci cappelle realizzate da altrettanti architetti di caratura internazionale.

E proprio le immagini di quest’opera sono state l’elemento centrale dell’esposizione di Juaҫaba al Cersaie: una «cappella in nuce», l’ha definita l’architetta brasiliana, in cui «le persone abitano l’immagine». Un progetto di complessa realizzazione, per quanto l’effetto ottico sia molto semplice: una lunga panca, poggiata su sette lastre di cemento, di fronte a una croce in acciaio a specchio. L’effetto è una cappella quasi invisibile: «Si tratta sempre di creare qualcosa che va completato con l’immaginazione», ha spiegato Juaҫaba. L’architetto brasiliano si è soffermata molto sulle foto scattate dai visitatori: «Mi piace quando un’opera viene abitata dalle persone – ha raccontato -. L’idea è quella di riflettere sulla metafora della vita, su ciò che esiste e su ciò che non esiste».

L’opera che forse più di tutte l’ha consacrata a livello internazionale è il Pavillon Humanidade, realizzato nel 2012 sulla spiaggia di Copacabana in occasione di Rio+20. Ma ci sono anche tante case, anche di dimensioni normali: «Casa Teresa, l’ultima che ho realizzato, misura 140 metri quadrati – racconta -. Qui la sfida consisteva nel realizzare qualcosa di economico e abbiamo realizzato strutture molto leggere».

Non sempre un progetto viene come lo si era immaginato: un caso è quello di Ballast (“zavorra” in inglese), che in origine dovevano essere panchine per fare riposare le persone in visita alla Biennale di Venezia. «L’idea era realizzare qualcosa che potesse essere accessibile per tutti, questa è la mia idea di democrazia», ha spiegato Juaҫaba. Il progetto non l’ha completamente soddisfatta: «Alla fine abbiamo realizzato solo un prototipo. Ma le persone si sono sedute sopra e noi ci siamo fatti una cultura sulla materia».