Martedì 28 novembre, presso l’aula magna dell’ITIS Volta di Sassuolo, circa 170 persone hanno ascoltato il dottor Giuseppe Chesi e monsignor Luigi Negri parlare di un tema di scottante attualità, quello del cosiddetto testamento biologico, al centro il testo di legge n. 2801/2017 “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, che dopo aver ottenuto una prima approvazione alla Camera è attualmente in esame al Senato.

I due relatori hanno trattato l’argomento con chiarezza e competenza, approfondendo l’uno l’aspetto medico del ‘fine vita’ e l’altro il magistero della Chiesa e la concezione cristiana della vita, messa in pericolo nella società attuale e anche dal testo normativo in discussione.

Si tratta della seconda conferenza organizzata a Sassuolo, da un gruppo di associazioni cattoliche, in collaborazione con il Vicariato Sassuolo-Valle del Secchia, sul tema del ‘testamento biologico’, dopo quella del 20 giugno, e la grande partecipazione ad entrambe le iniziative sottolinea l’interesse generale per un argomento delicato dal punto di vista etico e politico, che solleva numerosi interrogativi.

In sala erano presenti anche numerosi medici, interessati a capire come conciliare i propri valori, il proprio lavoro, con il disposto del disegno di legge.

Dopo l’approfondimento giuridico dell’avvocato Simone Pillon e del prof. Massimo Gandolfini, a giugno, è toccato al dottor Chesi, direttore del dipartimento area Internistica dell’ospedale di Scandiano, aprire la serata e parlare del ‘trattamento’ del fine vita in ambito medico. Il professore ha sottolineato più volte che i medici che, hanno a che fare tutti i giorni con pazienti alla fine della vita, non sentono il bisogno di una legge che disciplini la materia, perché è già scritto tutto nella Costituzione e nel codice deontologico (“nessun trattamento può essere applicato senza il consenso del paziente”), basta solo applicarli.

Ha poi sottolineato che lo stato vegetativo, tipo quello di Eluana Englaro, non è ‘fine vita’ e che l’idratazione e la nutrizione non possono essere identificati come ‘trattamenti medici’, come il disegno di legge vorrebbe fare passare, prevedendo che, a chi ha dato il consenso, si interrompano la somministrazione di acqua, liquidi e cibo, facendolo morire tra indicibili sofferenze.

Ha poi ricordato che nel fine vita il dialogo tra paziente, medico e familiari è fondamentale e rende inutile il cosiddetto ‘testamento biologico’. Lo dimostra anche il fatto che a Reggio Emilia che già nel 2012 ha istituito un registro per il DAT (Dichiarazione anticipata di trattamento) in 5 anni si sono avute solo un centinaio di richieste.

Il dottor Chesi ha evidenziato come oggi non esistono sofferenze a cui la medicina non può fare fronte con la cosiddetta ‘terapia del dolore’. Ma anche questi potenti strumenti devono essere usati in modo proporzionale, con un senso del limite che a volte si perde, in costante dialogo con il paziente e la sua famiglia.

E’ la riduzione di questa relazione, dell’alleanza terapeutica, del ‘prendersi cura’ a favore del ‘curare’ ad ogni costo, utilizzando le enormi tecnologie oggi disponibili, oltre ad una società che respinge l’idea stessa della morte, che portano alla deriva e quindi alla necessità di legiferare. Il problema è culturale: occorre recuperare il senso della morte come parte della vita stessa, dandogli pari dignità.

“L’eutanasia non è richiesta dai pazienti, come dimostrano anche studi americani. – ha concluso il medico – Il malato desidera cure adeguate, assistenza e calore umano. L’eutanasia, intervento che induce la morte e non terapia del dolore, è la più grande sconfitta della medicina e di tutta una società.”

A monsignor Luigi Negri, arcivescovo emerito di Ferrara-Comacchio, è toccato invece dirimere il nodo della posizione dei cattolici davanti a questa proposta di legge, sulla base del magistero della Chiesa. Il sacerdote ha evidenziato che esistono due concezioni della vita, in base a quella che scegliamo discende la nostra posizione e responsabilità.

Per una, quella largamente dominante, la vita è un oggetto bio-fisiologico, di cui si possono individuare le leggi che lo governano e quindi trasformabile tecnologicamente.” Se aderiamo a questa concezione della vita, oggetto conoscibile e manipolabile – ha detto mons. Negri – il problema morale non si pone.” Allora lo Stato può intervenire sulle questioni che riguardano la vita, trattandole burocraticamente, improntando tutto all’efficienza. Il malato è un oggetto verso cui ci si può ‘accanire’ dal punto di vista terapeutico e per il quale si può decidere.

L’altra concezione vede la vita come un mistero e quindi nessun momento di essa è conoscibile del tutto e manipolabile. La vita è a disposizione solo di Dio, nessuno è padrone della propria vita né di quella altrui, quindi neanche lo Stato può ‘gestire’ il mistero della vita, perché la vita non è un problema istituzionale.

“La vita è sacra dal concepimento alla morte – ha sottolineato il vescovo – questo è il contenuto della nostra testimonianza cristiana, perché sappiamo che quella terrena è parte di una vita più ampia, quella eterna”.

“Dobbiamo fare di questa concezione della vita uno dei temi principali della nostra missione cristiana – ha concluso mons. Negri – E’ nostra responsabilità personale e dobbiamo usare tutti gli strumenti in nostro potere per farla valere. Ora che la concezione cristiana della vita è in pericolo la Chiesa tutta deve svegliarsi.”