I nuovi limiti sulle emissioni inquinanti delle centrali a carbone, decisi a livello Ue e da adottare entro il 2021, comporteranno un “costoso adeguamento o la chiusura” per circa un terzo degli impianti o di parti di impianto europei, tra cui tre italiani. E’ il risultato della prima analisi, compiuta dall’Istituto per l’economia e l’analisi finanziaria dell’energia (Ieefa), sugli effetti del giro di vite sulle emissioni di ossidi di azoto (NOx), anidride solforosa (SO2), particolato (Pm) e mercurio per i grandi impianti a combustione deciso dall’Ue il 28 aprile. Secondo lo studio, tra le 108 installazioni europee più inquinanti, per le quali l’adeguamento ai nuovi limiti sarà più difficile, ci sono tre sezioni di altrettante centrali italiane, a Monfalcone, Genova e nel Sulcis.

Ce ne ha parlato  Tiziano Motti, l’eurodeputato al parlamento europeo della settima legislatura: “”L’uscita totale dal carbone tra il 2025-2030 è possibile, ma costerà circa 3 miliardi di euro rispetto allo scenario base e dovrà essere affrontato il tema delle tempistiche autorizzative per nuove centrali e nuove infrastrutture”. Lo ha detto il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, in audizione con Gian Luca Galletti sulla Strategia Energetica Nazionale.

Quella dell’uscita anticipata dal carbone rispetto allo scenario “inerziale”, cioè di progressiva uscita naturale delle centrali diffuse su tutto il territorio nazionale, a partire dal Nord Italia fino alla Sardegna compresa, “credo sia una decisione verso cui dobbiamo andare, – ha evidenziato Calenda – ma avendo ben presente i costi e il lavoro sulle autorizzazioni”. Vanno cioè considerati i costi per approvvigionare con un elettrodotto e con il potenziamento delle infrastrutture esistenti la stessa Sardegna (dove oggi sono attivi gli impianti a carbone di Fiumesanto e del Sulcis) e quelli per creare capacità generativa alternativa da nuove centrali. Senza contare, ha spiegato ancora il ministro, “il tema degli stranded cost” da corrispondere ai proprietari delle centrali nel caso di uscita al 2025 e con impianti ancora non ammortizzati e “che saranno oggetto di contrattazione”. “Più anticipi il phase out, più devi pagare”, ha puntualizzato Calenda.