Le donne, se messe ai posti di comando, potrebbero aumentare produttività e sostenibilità del sistema economico. Lo dimostrano ricerche internazionali su aziende con consigli di amministrazione a maggioranza femminile. E’ una analisi della Fao nel sostenere che se le donne africane, sudamericane e asiatiche avessero la medesima possibilità di accesso alle risorse agricole (terra, acqua, sementi, bestiame, macchinari), tecnologiche (agricole e digitali) e finanziarie degli uomini, si avrebbe un incremento di produzione del 20-30%. In grado di sfamare 150 milioni di persone, equivalenti alla popolazione di Francia e Gran Bretagna messe insieme, o anche di Cile, Kenya, Turchia e Malesia insieme (stime Fao).
Nei paesi in via di sviluppo le donne Rappresentano il 43% della forza lavoro in occupazioni con basse retribuzioni, lavoro part-time e stagionale. Nonostante la loro affidabilità, il gender gap resta ancora alto nel settore agricolo, e non solo nei paesi emergenti.
Anche nei Paesi come l’Europa, con un trend crescente nell’ultimo ventennio (recuperando il gap rispetto agli uomini, soprattutto nell’istruzione terziaria), ci sono alcune similarità con i paesi più disagiati.
E’ uno dei temi che hanno accompagnato la presentazione di un docufilm dal titolo “La terra è rosa, storie di donne e agricoltura” , una iniziativa di Anp, Agia e Donne in Campo (le associazioni della Cia che si occupano rispettivamente di pensionati, giovani e donne che lavorano in agricoltura) promossa l’8 marzo a Bologna in occasione della Giornata internazionale della donna. Hanno partecipato Franca Gordini, coordinatrice donne Anp Emilia Romagna, Valter Manfredi vice presidente nazionale Anp, Fabio Girometta, presidente regionale di giovani agricoltori, l’assessore alle Politiche agricole della Regione Emilia Romagna, Simona Caselli, e il vice presidente nazionale vicario della Cia Cinzia Pagni.
In Emilia Romagna le aziende condotte da donne son più di 13.000, una su cinque delle imprese agricole attive in Regione. Inoltre su 1319 agriturismi, 631 sono condotte da donne, come anche la metà delle fattorie didattiche.
“In Italia prevalgono lavori stagionali e part-time di carattere operativo, oltre a essere molto meno in termini di occupazione – ha detto Franca Gordini – . I dati Eurostat sul decennio 2005-2014 riportano una contrazione delle donne occupate in agricoltura dal 3% al 2,4% in Italia, mentre gli uomini restano stabili al 4,7%. Piuttosto, la crescita si è verificata nei servizi (+4,3% con l’86% dell’occupazione), ma anche in questo caso per lavori poco remunerati, come l’assistenza e la cura degli anziani. Inoltre – ha aggiunto la Gordini –  tenuto conto che l’agricoltura pesa pochissimo in Italia, l’1,2% del Pil, in generale l’imprenditorialità femminile ha avuto una contrazione dell’1,4% (19%), mentre gli uomini che erano già al 30% (contro il 20% femminile), hanno avuto una contrazione dello 0,4%”.
I Paesi europei dove le donne sono più presenti nel settore agricolo sono Romania (30%), Bulgaria (13,2%), Polonia (10%) e Portogallo (8,5%).
In Italia le imprese agricole condotte da donne rappresentano circa il 23%.
“La presenza delle donne in agricoltura è sempre più qualificata – ha detto l’assessore regionale all’Agricoltura Simona Caselli –  le statistiche ci dicono che le aziende agricole  al femminile sono quelle  che  puntano di più sulla diversificazione,  saldando ad esempio l’attività sui campi  con l’enogastronomia e  il turismo. Le storie di oggi rendono bene la differenza tra un passato in cui il ruolo delle donne era,  seppur fondamentale, oscuro e non riconosciuto, e un presente  in cui invece  la presenza femminile  in agricoltura non solo è frutto di una scelta consapevole e fortemente identitaria, ma è capace di fare la differenza  anche per quanto riguarda la capacità di  investire e innovare”.