vandana_sLa studiosa indiana da anni propone nei suoi scritti, come alternativa al capitalismo globale, una democrazia che parta dalle realtà locali, dalla partecipazione e dalla vigilanza attiva dei cittadini, per rivendicare la restituzione delle risorse comuni alla collettività. Shiva si batte per cambiare pratiche e paradigmi nell’agricoltura e nell’alimentazione e si occupa di diritti sulla proprietà intellettuale, di biodiversità, biotecnologie, bioetica e ingegneria genetica.Nell’introduzione de “Il bene comune della terra” (Feltrinelli, Milano 2006) Vandana Shiva spiega: “Il progetto democratico ed ecologista che ispira questo studio ha origini antiche, ma costituisce anche l’obiettivo di fondo di un movimento politico emergente che difende la pace, la giustizia e la sostenibilità. Concepire il pianeta come una grande comunità e come un bene comune inalienabile a tutte le forme di vita che lo popolano significa porre in correlazione il particolare e l’universale, le diversità specifiche e gli aspetti comuni, le dimensioni del locale e del globale, richiamandosi a quella che in India viene descritta come vasudhaiva kutumbkham, la “famiglia terrestre”, l’insieme di tutti gli esseri viventi che traggono sostentamento dal nostro pianeta. I nativi americani, al pari di tutte le culture indigene del mondo, concepivano la vita come un continuum che vincola le sorti dell’essere umano a quelle di tutte le altre specie, attraverso un condizionamento reciproco che coinvolge tutte le generazioni passate, presenti e future”.

Vandana Shiva ha fondato e dirige la Research Foundation for Science, Technology and Ecology. E’ tra le principali esponenti degli studi di “ecologia sociale” ed è una attivista di spicco nel campo dell’agricoltura biologica, della sostenibilità ambientale e più in generale dei nuovi modelli di sviluppo. Tra i suoi libri recenti tradotti in italiano: Terra madre. Sopravvivere allo sviluppo (Torino 2004); Il bene comune della terra (Milano 2006); India spezzata (Milano 2008); Ritorno alla Terra. La fine dell’ecoimperialismo (Roma 2009).