Quando il cibo diventa un nemico. Sono almeno 200 mila le ragazze italiane, a volte giovanissime, che soffrono di anoressia o bulimia nervosa. “Ma tenuto conto dei casi atipici e di quelli non classificati, il numero potrebbe anche triplicare”, spiega Giovanni Spera, ordinario di endocrinologia e malattie metaboliche dell’Università Sapienza di Roma.

L’esperto, nel corso della conferenza sulle ‘Cure coercitive nell’anoressia e nella bulimia nervosa’ oggi nella Capitale, ricorda come i disturbi alimentari siano la prima causa di morte per malattia tra le ragazze di 12-25 anni italiane. “Si tratta di patologie in continuo aumento – evidenzia Roberto Ostuzzi, presidente della Sidca (Società italiana per lo studio dei disturbi del comportamento alimentare) – tanto da rappresentare ormai un vero allarme socio-sanitario. Far accettare una terapia a queste pazienti è particolarmente difficile, e per questo spesso i problemi diventano cronici”.

Il rischio è molto alto: nel 30% dei casi si parla di malattia molto resistente alle cure e di cronicità, con il manifestarsi di complicanze mediche o psichiatriche, e rischi letali. Gli anni di digiuno finiscono per piegare il corpo e la mente. Così la mortalità per suicidio o complicanze da malnutrizione è del 10% a dieci anni dall’inizio della malattia e del 20% a venti anni. In questo quadro, poi, cure salvavita e continuità di trattamento sono spesso un miraggio per le pazienti, che per prime rifiutano di farsi aiutare.

“Sono ragazze lucide, intelligenti, studiano con profitto o lavorano bene. Sono capaci di spiegare la propria situazione, ma continuano a negare il consenso alle cure. Certo – prosegue Ostuzzi – nelle situazioni più gravi è a volte necessario ricorrere a trattamenti salvavita coercitivi, ma si tratta di un’operazione molto difficile nella pratica, in base alla norme attuali che regolano il Tso (trattamento sanitario obbligatorio)”. Il Tso, ricordano gli specialisti, prevede che una persona possa essere sottoposta a cure psichiatriche contro la propria volontà. Il ricovero avviene usualmente nei reparti di psichiatria degli ospedali.

“Il Tso per anoressia nervosa e bulimia è in Italia rarissimo – testimonia Ostuzzi – nei Paesi anglosassoni è 15 volte più frequente. E’ diffusa infatti l’opinione che il Tso non si possa applicare nella maggior parte dei casi di rifiuto delle cure, e così anche nei disturbi dell’alimentazione”. Per queste patologie “il no delle pazienti non riguarda il trattamento in generale, ma solo la nutrizione necessaria al recupero del peso”. Nei casi in cui si manifesta una crisi, le ragazze vengono alimentate a forza, “ma appena si sentono meglio firmano ed escono. Con continui e inutili Tso a singhiozzo”, aggiunge Spera. “Queste pazienti preferiscono la morte all’aumento di peso”, ribadisce Ostuzzi. Per questo il Tso è difficile da applicare a malate atipiche come le anoressiche e le bulimiche. “Inoltre la convivenza con i pazienti dei servizi psichiatrici è spesso controproducente, e il personale non è preparato a trattare la grave malnutrizione tipica di queste patologie, con i relativi rischi. Gli operatori – aggiunge Ostuzzi – non conoscono le pazienti con disturbo del comportamento alimentare e la continuità terapeutica diventa molto difficile”.

Insomma, queste ragazze finiscono per essere curate di fatto da medici che non sono in grado di promuovere un Tso e vengono inviate a colleghi che hanno difficoltà ad attuare la cura adeguata, dicono gli specialisti. “Per questo la Sisdca ritiene necessario rivedere le procedure di attivazione del Tso per queste patologie – conclude il presidente – coinvolgendo nella valutazione i medici delle strutture per la cura dei disturbi alimentare. E dedicando ai ricoveri coatti strutture medico-pschiatriche specializzate in queste patologie”.

Fonte: Adnkronos