“Il convegno ‘Verso il Partito Democratico. L’ulivo cambia la scuola’ si è concluso con la protesta dei precari e la contestazione al Ministro Fioroni, riportata dalla stampa locale. Il convegno però non è stato solo questo e, per darne una valutazione politica, vanno considerati due elementi: il collegamento fra sapere, istruzione e Partito Democratico; il rilievo che i 12 punti di Prodi hanno dato a cultura, scuola, ricerca, università e innovazione – seconde sole al sostegno alla politica estera. Cosa comporterà questo rilievo? La risposta non ammette dubbi: risorse e riforme”.


Le risorse. Se scuola e università sono priorità non negoziabili, tali dovranno essere per il governo tutto, e non solo per i Ministri di riferimento: investire sulla scuola non dovrà significare tagliare meno di quanto non si faccia in altri settori, ma investire di più. Il precedente governo ha lasciato le scuole, anche quelle modenesi, in situazione di emergenza: mancano i soldi per pagare i supplenti e per il normale funzionamento didattico. Quindi il primo obiettivo è che alle scuole arrivino risorse. Solo questo consentirà di ritornare ad una situazione finanziaria “normale”.

Le riforme. Il governo Prodi ha deciso di non sottoporre la scuola ad un ulteriore processo di riforma che sarebbe mal sopportato e probabilmente inefficace, garantendo tuttavia discontinuità rispetto agli interventi del Ministro Moratti. Negli ultimi mesi questa discontinuità non è apparsa con sufficiente chiarezza; ci sono grandi questioni irrisolte ormai non rimandabili: la generalizzazione della scuola dell’infanzia; il ripristino del tempo pieno e prolungato; l’approvazione di nuove indicazioni nazionali dai 3 ai 18 anni; la realizzazione dell’obbligo scolastico a 16 anni.

“C’è però, nella scuola, un malessere che supera la limitatezza delle risorse e l’incertezza dei contenuti delle riforme; un malessere che va oltre i video sui telefonini, il bullismo, i risultati sempre scarsi delle indagini OCSE-PISA, le difficoltà economiche, il precariato storico: c’è una perdita di centralità che ha ucciso l’entusiasmo e la fiducia, insinuando negli insegnanti il dubbio di non incidere, la certezza di non essere considerati una risorsa per il Paese, il convincimento di essere “sfruttati” dallo Stato, come nel caso dei precari storici. Credo che questo dipenda, da un lato, dalla distanza che si è frapposta tra scuola e politica; dall’altro, dall’uso che la politica ha fatto della scuola, come ribalta privilegiata di contrapposizioni fra schieramenti, di rivendicazioni identitarie, di messa in discussione della laicità.
Non è sempre stato così. In passato le migliori realizzazioni della scuola italiana, il tempo pieno, la scuola dell’infanzia statale, l’integrazione dei disabili, la scuola media unica hanno unito l’impegno sociale cattolico e il progressismo delle forze di sinistra. Il Partito Democratico può essere oggi, la forza politica capace di ricostruire questa convergenza tra soggetti diversi. Occorrerà però che il Partito Democratico non sia la fusione di ceti politici o scorciatoia per accordi elettorali ma sia un Partito in grado di leggere i bisogni e le potenzialità della scuola. C’è un passaggio nella mozione politica per il Partito Democratico nel quale si legge: non si governa un mondo nuovo senza una lingua nuova. E noi dobbiamo essere capaci di far incontrare le parole storiche della sinistra e delle forze di progresso – pace, libertà, democrazia, uguaglianza, lavoro, solidarietà – con l’alfabeto del nuovo secolo: multilateralismo, integrazione, sostenibilità, multietnicità, cittadinanza, differenza, pari opportunità, laicità, innovazione, merito.
Queste parole nuove sono già praticate nella scuola; sono nei gesti e nei pensieri degli insegnanti che quotidianamente, fra stipendi che non arrivano, classi di 30 studenti, organi collegiali che non funzionano, creano anche quella buona scuola che c’è ma, siccome non buca il video, resta nel chiuso delle aule”.