Siamo di nuovo alla “psicosi da pollo”. In poco meno di due giorni i consumi di polli hanno subito un pesante ridimensionamento. Per gli allevamenti avicoli è rischio tracollo. Da ottobre a dicembre scorsi il settore ha subito un danno da 500 milioni di euro che ora, dopo il moltiplicarsi di notizie che hanno generato ingiustificati allarmismi, può superare abbondantemente il miliardo di euro.

A denunciarlo è la Cia-Confederazione italiana agricoltori secondo la quale la scoperta dei cigni infetti da virus H5N1 sta avendo riflessi fortemente negativi non solo per la filiera del pollame, ma anche per le uova.
Nel momento in cui l’influenza aviaria bussa alle porte del nostro Paese a causa delle migrazioni degli uccelli, la sicurezza per i consumatori, secondo la Cia, passa dalla difesa del patrimonio produttivo degli allevamenti avicoli italiani. Infatti, i nostri allevamenti possono garantire la totale copertura dei nostri consumi interni. Ed in più sono soggetti a costanti, rigorosi e giornalieri controlli che riguardano oltre alla sanità ambientale, i mangimi ed il benessere degli animali.
Tuttavia, la Cia esprime una forte preoccupazione per la recrudescenza della “psicosi aviaria” che induce i consumatori ad allontanarsi dalle carni avicole, distruggendo di conseguenza un settore della nostra zootecnia di grande importanza. Un settore che dà occupazione a 80.000 persone e ha un fatturato di 4 miliardi di euro (3 per le carni e 1 per le uova).
La Cia ribadisce che i polli italiani sono sicuri. La stessa etichetta obbligatoria sulle carni avicole rappresenta un elemento importante, permettendo ai consumatori di verificare in modo chiaro la provenienza del prodotto e, quindi, di acquistare produzioni nostrane sulle quali si sono espresse in maniera positiva sia la Fao che l‘Organizzazione mondiale della Sanità.
Per la Cia, dunque, in Italia non ci sono pericoli da aviaria. Il problema resta quello dei controlli alle frontiere che vanno necessariamente intensificati per evitare importazioni illecite, specialmente da paesi del Sud-Est asiatico dove focolai di aviaria sono tutt’altro che spenti.
Contemporaneamente, la Cia sollecita l’ immediato rafforzamento delle campagne di comunicazione al fine di mettere in risalto al consumatore la salubrità delle carni italiane, che continuano a mantenere l’etichetta di identificazione e che garantiscono la loro qualità.
La Cia chiede con urgenza un intervento dei ministeri competenti (Salute e Politiche Agricole) per la difesa delle produzioni nazionali ed il conseguente reddito degli allevatori.

I segnali che vengono dalle diverse regioni parlano di un dimezzamento delle vendite di pollo in Italia nel primo giorno di apertura dei negozi dopo la conferma dei primi casi di influenza aviaria scoperti in cigni selvatici. E’ quanto emerge da un primo monitoraggio della Coldiretti sugli effetti della psicosi nei consumi di pollo a causa dell’influenza aviaria che secondo il sondaggio Eurobarometro sui rischi percepiti dai cittadini, preoccupa l’83 per cento degli italiani. Si tratta di una reazione che coinvolge la maggioranza dei cittadini considerato che otto famiglie italiane su dieci consuma normalmente pollo che – evidenzia la Coldiretti – è il tipo di carne con il primato della convenienza economica nell’assicurare un apporto proteico adeguato all’organismo.
Secondo l’indagine Eurobarometro, di fronte a notizie su emergenze sanitarie che riguardano un alimento il 16 per cento degli italiani cambia permanentemente le abitudini a tavola ma – sottolinea la Coldiretti – una maggioranza del 47 per cento reagisce evitando il prodotto coinvolto solo per un certo periodo di tempo e il 27 per cento è preoccupato del problema ma non cambia abitudini. Peraltro la produzione degli allevamenti italiani – continua la Coldiretti – è più che sufficiente a rispondere nelle quantità alla domanda dei consumatori nazionali e offre le massime garanzie di sicurezza alimentare, come ripetutamente affermato da autorevoli esponenti del mondo scientifico dai quali sono venute, peraltro, importanti rassicurazioni sull’assoluta assenza di rischi nel consumo di carne di pollo nazionale che oggi è identificata con un sistema di etichettatura fortemente voluto dalla Coldiretti.
Dopo la riduzione media nei consumi del 10 per cento che si è verificata nel 2005 con una perdita di 500 milioni di Euro, la nuova reazione emotiva dei mercati che ha portato alla riduzione di oltre il 50 percento dei consumi di carne di pollo rischia – afferma la Coldiretti – di travolgere il comparto avicolo nel quale operano 6000 allevamenti, 173 macelli, 517 imprese di prima e seconda lavorazione che danno complessivamente lavoro a 180mila addetti per una produzione complessiva di 1,13 milioni di tonnellate di carne ampiamente superiore ai consumi interni e un fatturato complessivo di 3,5 miliardi di euro, circa il 6,5 percento del valore dell’intera agricoltura italiana.
Si tratta sopratutto – continua la Coldiretti – di carne di pollo con 675mila tonnellate ma anche di quella di gallina (86mila tonnellate), tacchino (298mila tonnellate) e faraone ed oche (75mila tonnellate). La maggioranza degli allevamenti – continua la Coldiretti – è localizzata in quattro regioni dell’Italia del Nord e in particolare in Veneto (50 percento), ma anche in Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte.
La situazione di allarme che si è creata – sostiene la Coldiretti – deve essere infatti affrontata con misure di garanzia, controllo e trasparenza per i consumatori che vanno accompagnate – conclude la Coldiretti – da provvedimenti di pronto intervento a sostegno del settore con un piano di protezione e salvaguardia degli allevamenti che preveda un fondo speciale di rigenerazione che punti anche ad un miglioramento qualitativo ed ambientale strutturale per dare un futuro all’allevamento italiano.