Tanto brutto da far spavento, ma così buono da mangiare, il granchio è riuscito a dimostrare di
essere anche utilissimo nel settore del tessile e abbigliamento. Strano, ma assolutamente vero, visto che i giapponesi già da qualche anno hanno fatto del granchio un emulo del baco da seta
ottenendone un filato dalle proprietà particolari: prima fra tutte, quella di essere altamente antibatterico. E quindi ottimo per intimo, maglieria, calze, abbigliamento sportivo e tutto ciò che sta a contatto con la pelle, come anche i tessuti
sanitari.


Ora questo filato, presentato fra le novità all’ultimo Bitec di Cernobbio (rassegna del tessile Tecnico Innovativo), arriva in Italia attraverso un importatore milanese che lo ha introdotto dopo i risultati positivi dei test antibatterici effettuati presso il Dipartimento di Microbiologia della
Facoltà di Scienze Fisiche e Naturali dell’Università di Modena. Il polisaccaride chitosano (un derivato della chitina) è la sostanza altamente antibatterica che per milioni di anni ha protetto i granchi dalle aggressioni patogene, e che proprio per questo ne avrebbe mantenuti inalterati aspetto e funzioni nel corso del tempo. E’ stato scoperto dai giapponesi, che lo estraggono dal carapace del granchio: lo riciclano dagli scarti di lavorazione dell’industria alimentare, e miscelandolo con la
viscosa lo trasformano in una fibra tessile. Al contatto con la pelle, questa fibra produce un effetto antibatterico e al contempo evita al tessuto di assorbire gli odori. La fibra ottenuta dalla chitina del granchio è inoltre degradabile, non risulta creare alcun tipo di reattività allergica, ed è facilmente mischiabile con altre fibre tessili
come lana, lino, cotone. Aspetto e tatto sono assimilabili a un cotone molto morbido e fresco: è un altro dei segreti del successo ottenuto sul mercato giapponese dalla fibra di
granchio, che è invece una novità per l’Europa.